A 72 ore dall'uscita del libro "Fire and Fury: Inside the Trump White House" in cui Michael Wolff ha svelato i retroscena dell'amministrazione Trump, la sua fonte ha fatto marcia indietro. Steve Bannon, rimasto isolato e a rischio di restare senza lavoro dopo l'ira del presidente Donald Trump, che lo ha accusato di "aver perso il senno", sostiene che l'accusa di "tradimento" - per un incontro il 9 giugno 2016 alla Trump Tower con un avvocato russo vicina al Cremlino per ottenere informazioni contro Hillary Clinton - non era rivolta a Donald Trump jr, figlio del presidente, ma all'allora capo della campagna elettorale, il lobbista Paul Manafort.
Per tentare di ricucire im extremis i rapporti, Bannon ha espresso solo ora il rammarico per non aver risposto immediatamente alle paure attribuitegli da Michael Wolff, da una settimana, ancor prima dell'uscita del libro, l'argomento più dibattuto negli Usa: "Donald Trump, Jr. è sia un patriota che una persona per bene", riferisce un fonte vicina all'ex capo stratega della Casa Bianca, indotto a lasciare lo scorso agosto, citata dalla Cnn. Bannon ha aggiunto che Donald jr "è stato infaticabile nel sostenere il padre e il suo programma che ha aiutato a rivoltare il nostro Paese". In una dichiarazione seguita al pezzo della Cnn, Bannon ha aggiunto: "Mi dispiace che il mio ritardo nel rispondere alle sbagliate versioni su Don Jr abbiano spostato l'attenzione dai risultati storici del primo anno della presidenza Trump".
Nel libro Wolff fa dire a Bannon che l'incontro del giugno 2016 di Donald jr, il genero del presidente Jared Kushner e il lobbista Paul Manafort rappresentava un atto "sedizioso". Bannon ha spiegato che non si riferiva a Donald jr ma a Manafort, che per la sua esperienza di lobbista con Mosca e la conoscenza di "come funzionano le cose in Russia, avrebbe dovuto far capire come i russi siano falsi, subdoli e non nostri amici". Ora si vedrà se la marcia indietro sull'aspetto meno pettegolo ma più importante del libro, porterà ad una riavvicinamento tra Trump e il suo ex 'chief strategist'.
"Io sono il solo a sforzarmi per diffondere il trumpismo nel mondo"
Nel testo completo della dichiarazione rilasciata al sito di destra Axios Bannon prova in tutti modi a riconquistare la fiducia ormai perduta di Trump, che , è noto, ai suoi consiglieri, chiede soprattutto lealtà assoluta ed incondinzionata. L'ex capo (da agosto 2016) della campagna elettorale e l'uomo che fu oggetto della primissima nomina - prima di ministri o capo di gabinetto - di Trump non appena si insediò alla Casa Bianca il 20 gennaio - le prova tutte e si lasci andare a sperticati elogi del presidente: "Trump è stato il solo candidato che avrebbe potuto e ha sconfitto la macchina da guerra dei Clinton. Io sono la sola persona a condurre un sforzo globale per diffondere il messaggio di Trump e del Trumpismo e a restare a sostenere gli sforzi del presidente nel rendere l'America grande di nuovo".
Cosa accadde durante l'incontro con l'avvocatessa russa?
Insomma, Bannon chiede scusa sull'accusa più grave mossa all'entourage di Trump, l'unica con possibili riflessi penali nell'inchiesta sul Russiagate. Il procuratore speciale Robert Mueller sta infatti indagando sul famigerato incontro del 9 giugno 2016 alla Trump Tower. Ad agosto 2017, messo alle strette, Donald jr pubblicò una serie di email con Rob Goldstone, l'organizzatore dell'incontro alla Trump Tower con i russi, da cui emerse chiaramente che non aveva alcuna intenzione di discutere di adozioni di bimbi russi, perché il suo amico gli aveva garantito che l'avvocatessa russa "avesse documenti ufficiali ed informazioni" che avrebbero portato "all'incriminazione" di Clinton e che quindi "sarebbero state molto utili per tuo padre", scrisse il produttore musicale. Secondo Goldstone le informazioni contro Clinton "erano parte del sostegno della Russia e del suo governo a favore di Trump". E qui la risposta incriminante per Don jr: "Se quanto dici fosse vero, lo adorerei".
Nel libro Wolff fa dire - cosa che con quasi una settimana di ritardo Bannon oggi ha smentito - all'ex capo stratega: "Anche se tu (Donald jr o Kushner) non ti fossi reso conto che questo incontro fosse un atto di tradimento o poco patriottico o qualcosa di cattivo... Avrebbero dovuto immediatamente chiamare l'Fbi". Cosa che, guarda caso, nessuno fece. Bannon chiude sostenendo che ci sono "zero chance che (quel giorno) Don jr non sia corso al 26esimo piano della Trump Tower a parlarne con papà".
Donald jr in una testimonianza a porte chiuse al Congresso ha negato di aver parlato con il padre della dichiarazione fuorviante rilasciata dall'Air Force One. Secondo la Cnn Trump jr ha dichiarato alla commissione Intelligence della Camera lo scorso mese di aver coordinato la dichiarazione sull'adozione dei bimbi russi con Hope Hicks, direttore della comunicazione della Casa Bianca, che era sull'Air Force One quando il testo venne concordato.
In ogni caso chi partecipo all'incontro del 9 giugno 2016 alla Trump Tower ha sostenuto, e finora mai cambiato versione, che non si parlò mai della Clinton ma solo dei problemi di adozione degli orfani russi in risposta al Magnitisky Act, la legge del 2012 in risposta alla sospetta morte in un carcere russo dell'omonimo avvocato che aveva denunciato episodi di corruzione nell'entourage di Putin.