È salito ad almeno 13 vittime accertate il bilancio provvisorio della sanguinosa repressione della manifestazioni di protesta contro il carovita, in corso da giovedì in Iran. In serata un agente un agente è stato ucciso e altri 3 sono stati feriti con un fucile da caccia a Najafabad, 400 km a sud di Teheran, nella provincia centrale di Isfahan. Questo malgrado gli appelli del presidente, il moderato Hassan Rohani, a riconoscere il diritto "a dissentire pacificamente" del popolo. I media del Paese segnalano che sono in corso nuove proteste antigovernative nella capitale. Sono state diffuse immagini di auto in fiamme e di massiccia presenza di polizia mentre i social media parlano della presenza di piccoli gruppi di manifestanti che nel centro della capitale intonano canti e slogan anti-regime.
Rohani punta il dito su Usa e Israele
Dopo il discorso in cui aveva difeso la libertà di manifestare in modo pacifico, Rohani ha nuovamente alternato bastone e carota verso la piazza. Così ha definito le proteste "un'opportunità e non una minaccia" ma poi ha puntato il dito contro i Paesi che sobillerebbero i manifestanti perchè non sopportano il ruolo crescente di Teheran nella regione: "Il nostro progresso per loro era intollerabile, così come il nostro successo politico rispetto agli Stati Uniti e al regime sionista (Israele, ndr)". Rohani ha anche risposto a Donald Trump: "Il grande popolo iraniano è represso da molti anni. Sono affamati di cibo e di libertà", aveva twittato il presidente americano affermando che nel Paese "è arrivata l'ora del cambiamento". "Il leader degli Stati Uniti", che "è totalmente contro la nazione iraniana, non ha alcun diritto di simpatizzare con i manifestanti", ha replicato il presidente dell'Iran.
Scontri in tutto il Paese
Per la quarta giornata consecutiva gli iraniani sono quindi scesi in strada per protestare contro il governo che non è stato capace di risollevare le condizioni economiche del Paese, agendo in concreto contro la disoccupazione, il carovita e la corruzione. La fine delle sanzioni, dopo l'accordo sul nucleare del 2015, nonostante la recente marcia indietro di Trump, non sembra aver determinato una ripresa nel tenore di vita della popolazione, anche in ragione dell'aumento delle spese militari. Il malcontento per il ferreo controllo del regime su tutti gli aspetti della vita sociale è particolarmente diffuso tra i giovani. Al momento il numero uno della Repubblica islamica, la Guida suprema Ali Khamenei, non ha preso posizione.
Sei persone sono morte nella piccola città di Tuyserkan (tre per colpi d'arma da fuoco e tre nei successivi scontri"; due manifestanti durante le proteste a Izeh (nel sud-ovest); e a Doroud, nell'ovest, due vigili del fuoco sarebbero morti dopo che il mezzo su cui si trovavano è stato spinto giù da un pendio dalla folla. A Teheran la polizia ha usato lacrimogeni e cannoni ad acqua per disperdere una protesta a piazza Engheleb. Altre proteste si sono svolte a Kermanshah e Khorramabad, nell'ovest, Shahinshahr nel nortd-ovest e a Zanjan, nel nord. Ad Arak, a sud di Teheran, sono stati feriti 12 poliziotti e ci sono stati un centinaio di arresti. In totale gli arrestati sono molte centinaia, solo nella giornata di sabato a Teheran ne erano finiti in manette 200.
Una nuova "onda verde"?
I manifestanti hanno attaccato edifici pubblici, centri religiosi, banche e sedi Basij, la milizia islamica del regime. I dimostranti hanno anche dato fuoco ad auto della polizia. Le dimostrazioni si sono svolte nonostante le autorità avessero bloccato l'accesso ai social network Telegram e Instagram, che erano stati usati per organizzare e coordinare la protesta, partita giovedì dalla città nord-orientale di Mashaad e l'indomani estesasi in diverse città, compresa la capitale Teheran teatr,o dove sabato sono scese in piazza migliaia di persone e ci sono stati scontri con la polizia. Secondo la premio Nobel per la pace, l'avvocatessa iraniana Shirin Ebadi, la protesta iniziata per il malcontento rispetto al carovita e all'impegno militare all'estero dalla Siria al Libano fino allo Yemen, potrebbe presto assumere connotati analoghi all'"onda verde" del 2009, quando si diffuse la contestazione popolare contro la rielezione del presidente ultraconservatore Mahmoud Ahmadinejad. Anche allora la repressione fu particolarmente dura e si contarono 36 vittime (il doppio secondo le opposizioni).