E' uno schiaffo in faccia a Trump, il voto di giovedì alla sessione straordinaria dell'Assemblea generale dell'Onu contro la sua decisione di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele. Nonostante le reiterate minacce da parte dell'amministrazione di Washington, la stragrande maggioranza dei Paesi ha detto no agli Stati Uniti.
Nel dettaglio, sono state 128 le nazioni favorevoli alla condanna, nove contrarie, trentacinque astenute e ventuno assenti. Una scelta forte e inusuale che segna un punto di rottura tra la Casa bianca e il resto del mondo, almeno a livello diplomatico.
Il braccio di ferro
Il presidente americano Donald Trump aveva già deciso, per conto proprio, di riconoscere il 6 dicembre scorso Gerusalemme come capitale di Israele e trasferirci l'ambasciata americana. Una passo azzardato che aveva innescato l'ira del mondo arabo, con conseguenti scontri tra palestinesi ed esercito israeliano, e la preoccupazione degli altri Stati sovrani. Il 13 dicembre si è tenuto a Istanbul il summit dei leader musulmani che hanno poi dichiarato "Gerusalemme est capitale della Palestina" e chiesto alla comunità internazionale di fare altrettanto.
La battaglia all'Onu
Lo scontro sullo status di Gerusalemme è approdato al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite lunedì scorso con una risoluzione, proposta dall'Egitto, che respingeva il riconoscimento e condannava l'iniziativa di Trump. L'hanno approvata quattordici membri: il quindicesimo sono gli Stati Uniti che hanno imposto il diritto di veto per affossarla, segnando così il primo grande strappo. E ieri una soluzione molto simile, questa volta elaborata da Turchia e Yemen, è arrivata all'Assemblea generale, dove uno vale uno.
Le minacce degli Usa
Sia il presidente Donald Trump che la rappresentante permanente all'Onu degli Stati Uniti, Nikki Haley, avevano adottato una "hard diplomacy" basata sulle minacce. "Tutte quelle nazioni che prendono i nostri soldi e poi votano contro di noi al Consiglio di sicurezza e votano contro di noi potenzialmente anche all'Assemblea, prendono centinaia di milioni di dollari e anche miliardi di dollari e poi votano contro di noi, vediamo questi voti", aveva avvertito Trump alla vigilia della pronuncia, sottolineando "lasciamoli votare contro di noi. Risparmieremo molto. Non ci interessa".
In sostanza, gli Stati Uniti non avrebbero più sostenuto economicamente quei Paesi che non si sarebbero mostrati dalla loro parte nel momento del bisogno. Haley non è stata da meno: "Prenderemo i nomi di chi voterà contro", sottolineando poi poco prima delle votazione che "non ci dimenticheremo di questo voto".
I pochi fedeli agli Usa
Nonostante l'ambasciatrice Haley si fosse affrettata a twittare che 65 Paesi si erano schierati con gli Stati Uniti (sommando contrari, astenuti, assenti e contando anche Usa) la portata di quei voti è subito apparsa chiarissima. I nove contrari, oltre a Stati Uniti e Israele, sono: Guatemala, Honduras, Togo, Micronesia, Narau, Palau e Isole Marshall. I sette insieme fanno 27 milioni di abitanti e 75 miliardi di Pil. Un peso diplomatico insignificante. E' molto più sostanzioso invece quello dei 35 astenuti, tra cui emergono in prima fila Canada e Messico (due confinanti con gli Stati Uniti), tre Paesi dell'Ue (Croazia, Polonia e Repubblica Ceca), Argentina e Australia. Tanti i paesi africani, nessuno a maggioranza musulmana, che risultano invece tra gli assenti. Tra gli europei non hanno partecipato al voto Moldavia, Ucraina, Georgia e San Marino.
Quelli che hanno voltato le spalle
Le minacce di tagliare i fondi non hanno sortito alcun effetto. Nove dei dieci Paesi che ricevono più aiuti dagli Stati Uniti hanno votato a favore della condanna, il decimo si è astenuto. Secondo i dati dell'Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale (Usaid) in testa ai beneficiari ci sono Iraq (5,28 mld), Afghanistan (5,06 mld), Egitto (1,23 mld) che aveva proposta la risoluzione al Consiglio di Sicurezza, Giordania (1,21 mld), Etiopia (1,11 mld), Pakistan (778 mln), Nigeria (718 mln), Sud Sudan (708 mln) astenuto e Tanzania (629 mln).
Le reazioni
Il quotidiano israeliano Haaretz ha considerato il voto uno "schiaffo in faccia" a Trump e un "lieve rimprovero" a Israele perché il voto non era contro quest'ultimo, ma contro la politica personale del presidente americano. Per il Guardian, invece, il voto mostra "l'entità dell'isolamento internazionale di Washington".