A giudicare dai sondaggi, dalle elezioni anticipate che si svolgeranno domani in Catalogna emergerà un forte segnale di sfiducia non solo nei due principali partiti spagnoli, i popolari del Ppe e i socialisti del Psoe, ma anche nei confronti di Convergencia Democrática de Cataluña (Cdc), il partito conservatore indipendentista che aveva espresso l'ultimo presidente eletto della Generalitat, il destituito Carles Puigdemont, autoesiliatosi in Belgio, la cui caotica gestione del referendum illegale per la secessione da Madrid non ha certo aumentato i suoi consensi. Sarà invece un testa a testa tutto al femminile tra le esponenti di due partiti che fino a pochi anni fa non erano tra gli attori dominanti dell'arena politica catalana. Nondimeno, la scelta è sempre tra una candidata unionista e una indipendentista.
Da una parte c'è Inés Arrimadas di Ciudadanos, un partito nato dalla mobilitazione dal basso ma - a differenza di Podemos, orientato a sinistra - con un'agenda politica centrista; dall'altra Marta Rovira di Esquerra Republicana (Erc), storica formazione di sinistra (la fondazione risale al 1931) già partner di minoranza nella coalizione Junts pel Sì, che nel 2015 si impose con il 40% dei voti e portò Puigdemont alla guida della Generalitat. Il leader di Erc, Oriol Junqueras, che era stato vicepresidente della giunta Puigdemont, è stato arrestato lo scorso 2 novembre con l'accusa di ribellione e sedizione per il suo ruolo nella dichiarazione unilaterale di indipendenza di Barcellona. Trovandosi ancora in carcere, non può correre alle urne e ha lasciato la candidatura a Rovira, segretaria generale del partito. La candidatura di Arrimadas segue invece la solida affermazione di Ciutadans, ramo catalano di Ciudadanos, alle elezioni del 2015, quando il partito arrivò secondo dietro il cartello Junts pel Sì con il 18% dei voti, più del doppio dei consensi raccolti nel 2012.
Arrimadas, un'andalusa perché la Catalogna resti spagnola
Trentasei anni, Inés Arrimadas è tifosissima del Barcellona ma non è nata in Catalogna bensì a Jerez de la Frontera, in Andalusia, da genitori originari di Salamanca. Da ragazza sognava di fare l'archeologa ma, come la sua avversaria, si è laureata in giurisprudenza, a Siviglia. Si trasferisce nella capitale catalana per lavoro nel 2008. Due anni dopo, si reca con una collega ad assistere a un comizio di Ciudadanos e scatta la scintilla che la mette sulla strada della militanza politica. L'anno dopo Inés è portavoce della sezione giovanile del partito. Nel 2012 viene eletta deputata nel parlamentino catalano. Complice la bella presenza, diventa il volto di Ciudadanos nei dibattiti televisivi e nel 2015 viene candidata dal partito alla presidenza della Generalitat. Arrivata seconda, guida una pattuglia di 25 deputati regionali e, nel ruolo di leader dell'opposizione, mostra un temperamento determinato e battagliero.
In un'intervista a Vanity Fair, Inés ha identificato nella timidezza il suo difetto principale. Non si direbbe affatto. Dopo la dichiarazione d'indipendenza pronunciata da Puigdemont nel parlamentino di Barcellona, è la prima a replicare dai banchi dell'opposizione, con un discorso veemente che diventa subito virale, assurgendo a ideale manifesto unionista. "Non voglio che i miei genitori siano stranieri quando verranno a farmi vista", tuonò. Si è sposata lo scorso anno con un ex politico indipendentista, Xavier Cima, che per amore suo ha abbandato la militanza nella Cdc di Puigdemont. Da buona moderata, considera come suo modello politico Adolfo Suárez, primo capo del governo della Spagna postfranchista.
Con chi si alleerà e cosa farà se vince?
Il suo obiettivo è stroncare le velleità indipendentiste, bloccando quello che la stampa spagnola chiama "el procés". "Il 21 dicembre sarà l'ultimo giorno del "processo" e il primo di un futuro migliore. Non possiamo lasciarci scappare l'occasione", è stato il suo grido di battaglia in una campagna elettorale nella quale ha paragonato gli indipendentisti al Front National di Marine Le Pen, accusandoli di voler "distruggere l'Unione Europea". Secondo i sondaggi, Ciudadanos sarà primo partito con il 23,3% dei voti e finirà per conquistare 31 o 32 seggi. Per conquistare la maggioranza di 68 seggi, però, i voti delle altre formazioni unioniste, Socialisti e Popolari, non basterebbero. Secondo le stime attuali, questi tre partiti raccoglierebbero insieme 58 seggi. Salvo sorprese, Arrimadas potrà sperare nella presidenza solo coinvolgendo l'altro partito di protesta nato negli ultimi anni in Spagna, ovvero Podemos, che dovrebbe conquistare 9 seggi. En Comù Podem, il distaccamento catalano di Podemos, ha espresso il sindaco di Barcellona Ada Colau che, pur non avendo preso posizione durante la campagna referendaria, dicendosi "perplessa", era entrata in conflitto con gli alleati socialisti a causa dell'appoggio di questi ultimi al commissariamento della regione deciso da Rajoy.
Rovira, la "pitbull" dell'indipendentismo
Quarantenne, avvocato, sposata con una figlia, Marta Rovira sta a Junqueras come Soraya Sàenz de Santamaria, attuale commissaria della Generalitat catalana, sta a Mariano Rajoy. Personalità coriacea, lealtà assoluta nei confronti del capo e una carriera politica che in giovane età la distolse da una carriera in campo giuridico. La chiamano "la pitbull dell'indipendentismo" per la sua fedeltà alla causa e i toni accesi delle sue esternazioni. Suscitò forte polemica una sua intervista, rilasciata a Rac1 due settimane dopo l'arresto del suo leader, nella quale dichiarò che il governo di Madrid aveva "minacciato" di mandare l'esercito e "lasciare morti nelle strade" qualora Barcellona avesse insistito con la dichiarazione di indipendenza unilaterale, per poi spendersi nei consueti accostamenti tra Rajoy e il franchismo che fanno parte del bagaglio propagandistico degli indipendentisti catalani. Furente fu la reazione del portavoce di Rajoy, Íñigo Méndez de Vigo, che definì tale affermazione una "volgare bufala" giunta da persone "abituate a mentire".
L'investitura è arrivata con una lettera ai militanti inviata da Junqueras dalla prigione madrilena di Estremera. "È giunto il momento", ha scritto, "che ci sia una donna in prima linea in questo Paese. Una donna che non si arrende mai, con una determinazione e una convinzione senza pari, sensata e audace allo stesso tempo, testarda e ostinata ma anche dialogante e capace di scendere a patti. Ognuno al suo fianco, non la lasceremo mai sola. La Repubblica ha un nome femminile". Non essendo stata coinvolta in prima persona nell'organizzazione del referendum, il nome di Rivera non è apparso tra i destinatari dei mandati d'arresto spiccati dalla magistratura dopo la dichiarazione di indipendenza. Eppure, secondo la stampa spagnola, Marta Rivera sarebbe stata tra le figure politiche che più premettero su Puigdemont perché scegliesse la linea dell'intransigenza in seguito all'esito del referendum. Parla quasi esclusivamente catalano e, secondo El Mundo, quando si esprime in spagnolo sbaglia qualche parola.
Con chi si alleerà e cosa farà se vince?
In caso di vittoria, Rovira riproporrà un'alleanza di partiti indipendentisti, coinvolgendo Cdc, Catalunya en Comù e la sinistra radicale di Cup, per rilanciare il processo di secessione. In presenza di un "forte mandato democratico", ha dichiarato in un'intervista con Catalunya Ràdio, "non chiederemo il permesso di instaurare una Repubblica". Secondo gli ultimi sondaggi, tale alleanza dovrebbe attestarsi intorno al 46% e conquistare 68 seggi, il minimo indispensabile per ottenere una maggioranza.