Si apre oggi il processo ad Abdulkadir Masharipov, l'uzbeko autore della strage di Capodanno nella discoteca Reyna, l'ultimo massacro firmato dall'Isis a Istanbul in una notte di terrore costata la vita a 39 persone. In vista della scontata condanna all'ergastolo è massima allerta terrorismo nella città sul Bosforo e in tutta la Turchia, nel timore di colpi di coda degli jihadisti in ritirata da Siria e Iraq.
Come Masharipov scelse il suo bersaglio
Lo scorso Capodanno a Istanbul l'allerta era alta come in poche altre occasioni. L'intelligence aveva segnalato il rischio attentati e le misure di sicurezza a Piazza Taksim, tradizionale centro dei festeggiamenti per turchi e stranieri, erano a dir poco imponenti. Masharipov questo lo sapeva, così decide di compiere un giro di ricognizione verso la piazza, dove comprende che lo spiegamento di forze avrebbe reso impossibile far passare granate stordenti e kalashnikov. Nel tragitto verso il quartiere dove le armi erano state depositate passa davanti alla discoteca Reyna, uno dei locali notturni più in voga ad Istanbul, affacciato sul Bosforo e da anni meta del divertimento notturno anche per gli stranieri in visita nella città. Masharipov nota subito che, nonostante la vicinanza a una stazione di polizia, gli agenti non hanno predisposto alcun apparato di sicurezza, anzi, fuori dalla discoteca ci sono solo un agente e un addetto alla sicurezza. Scatta così un piano B, dal racconto dello stesso terrorista agli inquirenti, Masharipov comunica la nuova strategia al suo capo a Istanbul, un iracheno, che ottiene l'approvazione di Raqqa. L'uzbeko recupera le armi, compie la strage e sparisce nel nulla.
Sedici giorni di incubo
Il suo corpo minuto compare in fuga in alcuni fotogrammi di telecamere di sicurezza. Con una mano sempre in tasca pronta a far esplodere una granata l'uomo si allontana, trova un taxi e scappa nei quartieri periferici da cui era partito. In una città di 23 miloni di abitanti una mossa sufficiente a far perdere le proprie tracce, almeno momentaneamente. I suoi spostamenti vengono ricostruiti attraverso l'analisi di 7200 ore di filmati di telecamere a circuito chiuso, mentre monta l'indignazione per il vile attacco e scatta una caccia all'uomo imponente. Decine le segnalazioni di Masharipov, setacciate le comunità centroasiatiche, decine gli arresti ad Istanbul, Knonya, Smirne, per fare terra bruciata attorno al fuggiasco. Per 16 giorni Istanbul vivrà come sospesa in un incubo, tra lo spiegamento imponente di polizia e la paura che il terrorista possa sparire nel nulla, magari fuggire in Siria o peggio, colpire ancora facendosi saltare in aria come chi non ha nulla da perdere.
Ancora mistero sulla sorte del figlio del terrorista
Dopo 16 giorni la soffiata giusta. Una casalinga turca di Esenyurt, quartiere periferico di più di un milione di abitanti, vede e riconosce Masharipov, non esita a chiamare la polizia e l'incubo di un'intera città finisce quando la foto del volto tumefatto del terrorista fa il giro delle edizioni speciali dei telegiornali. Insieme a Masharipov vengono arrestati un iracheno e due donne, sequestrati 197 mila dollari, pistole e munizioni. Grazie ai documenti emersi dal blitz la polizia risale a un corriere dell'Isis che viene intercettato nel sud della Turchia con 4 chili di esplosivo Rdx destinati a tre diversi attentati. L'intero Paese tira un sospiro di sollievo. Manca all'appello il figlio di quattro anni di Masharipov. La sorte del bambino costituisce ancora oggi un mistero. Secondo un'ipotesi militanti dell'Isis lo avrebbero rapito per garanzia nei confronti di Masharipov. Secondo altri invece sarebbe stato lo stesso Masharipov a darlo in mano a jihadisti affinché lo portassero al sicuro, magari nei territori allora sotto il controllo del califfato.
La scia di attentati che ha insanguinato la Turchia
Quello di Masharipov sarà l'ultimo attentato dell'Isis in Turchia, il secondo compiuto da centroasiatici dopo l'attacco all'aeroporto Ataturk del 28 giugno 2016, il settimo dello stato islamico a partire da giugno 2015. Diyarbakir 5 morti, Suruc 31 morti, Ankara 103 morti, Istanbul 12 morti a gennaio 2016, 6 morti a marzo, 46 morti all'aeroporto prima della strage del Reyna, una scia di sangue che ha costituito un trauma per il Paese e fatto capire al presidente Recep Tayyip Erdogan che l'impegno contro l'Isis non poteva più essere secondo alla lotta ai curdi del Pkk.
È passato quasi un anno e, alla vigilia di un processo dall'esito scontato, la Turchia ancora si sente reduce di due anni terribili. Il turismo è in lenta, faticosa, ripresa. Il contraccolpo, per l'economia e l'immagine del Paese, è stato al limite del ko. Erdogan è consapevole di questo e del fatto che un altro attentato metterebbe in ginocchio l'economia per anni. Proprio questo la Turchia è decisa a giocare un ruolo di primo piano in Siria e a non dare tregua ai jihadisti all'interno dei propri confini.
I fantasmi di Raqqa
L'ultimo allarme è scattato in seguito alla sconfitta patita dallo stato islamico a Raqqa. Le immagini dei jihadisti scortati fuori dalla ex capitale dello stato islamico dalle Forze Democratiche Siriane hanno mandato Ankara su tutte le furie e costretto i servizi di sicurezza ad alzare al massimo il livello di allerta. A fine ottobre un maxi attentato in un centro commerciale è stato sventato dopo che gli esplosivi erano già stati piazzati, pronti a realizzare una strage.
Poi è venuta la caduta di Raqqa, un avvenimento che non può non interessare un Paese che con Iraq e Siria condivide più di 1100 chilometri di confine. Secondo l'istituto di ricerca Soufan sarebbero almeno 800 i turchi, più un numero imprecisato di jihadisti di altri Paesi per cui la Turchia costituisce il primo approdo. Una circostanza più che sufficiente a riportare l'allerta al massimo. Nel mese di novembre i servizi segreti turchi e le forze di sicurezza hanno arrestato altre 109 persone solo ad Istanbul e 220 Ankara. Almeno 93 dei 109 arrestati di Istanbul a novembre provengono da Paesi diversi dalla Turchia, mentre i foreign terrorist fighters nelle retate di Ankara sono 82.
Gli arresti sono proseguiti a dicembre. Solo nell'ultima settimana 26 foreign fighter in fuga sono finiti in manette a Istanbul, mentre altri quattro, insieme a un turco, sono stati arrestati ieri dopo la segnalazione di un attentato in preparazione.
A quasi un anno dall'ultima strage, alla vigilia di un processo che decreterà la fine in carcere per Masharipov, la Turchia è tornata alla massima allerta, per garantirsi che la caduta di Raqqa, da essere una notizia accolta con favore da tutto il mondo, non diventi il prologo di nuove stragi.