Vecchi senza casa, senza famiglia, che hanno spesso già fatto i conti con la giustizia da giovani. E adesso? Nel Paese dove il tasso di criminalità è ai minimi mondiali, adesso sono costretti - o addirittura preferiscono - tornare in carcere pur di avere un focolare: un tetto, il letto, cibo e cure mediche.
E' curioso, per il resto del mondo, quel che accade in Giappone. Ma accade proprio così, stando al "Libro Bianco sulla criminalità" pubblicato dal Ministero della Giustizia nipponico.
Dove almeno c'è un tetto
Il numero dei detenuti anziani giapponesi si è quadruplicato a fronte di una criminalità in calo progressivo. Sono 2.498 gli ultrasessantacinquenni che hanno varcato la soglia del carcere l'anno scorso, e circa due terzi (il 70,2%) sono recidivi. Risulta che abbiano "cercato" di finire nuovamente dentro per sfuggire alla solitudine e all'incapacità di mantenersi.
Uno studio del giurista Tatsuya Ota, dell'Università tokyense di Keito, condotto nei vari istituti di pena, ha rilevato che la maggioranza dei detenuti anziani non aveva vincoli familiari né amici né vicini con cui intessere relazioni.
Le pensioni sociali? Non bastano: l'importo medio è di 78 mila yen, corrispondenti a 609 euro, davvero insufficienti per sopravvivere a meno di non integrarli con qualche lavoretto occasionale. O, appunto, delinquendo.
Mai così pochi reati dalla II Guerra Mondiale
Intanto, nel 2016 il numero complessivo dei reati in Giappone è calato sotto la soglia del milione, ai minimi storici, dopo 14 anni di consecutiva, progressiva discesa.
Il livello più basso dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Il Giappone è uno dei Paesi con il minore tasso di popolazione penitenziaria del mondo: il rapporto è di 47 detenuti per 100 mila abitanti.