Se i governi hanno davvero intenzione di arginare l’infinita serie di scandali fiscali, dovranno iniziare ad anteporre gli interessi della maggioranza dei cittadini a quelli delle corporation e dei super ricchi. Così reagisce Oxfam, una delle Ong più attive nella lotta all'evasione e all'elusione fiscale, alle rivelazioni sui "Paradise Papers", la nuova inchiesta pubblicata oggi dal Consorzio Internazionale dei Giornalisti Investigativi (ICIJ), che rivela, dopo i Panama Papers, ulteriori dettagli su come aziende e individui sottraggano ai governi miliardi di dollari in entrate fiscali.
“I Paradise Papers mettono in luce quanto inefficaci siano stati finora i tentativi dei nostri leader di mettere fine agli abusi fiscali. Alle severe parole di condanna hanno fatto seguito ad oggi solo riforme timide, indebolite dall’enorme pressione esercitata da multinazionali e paperoni sulla politica. – ha dichiarato Susana Ruiz, policy advisor di Oxfam sui dossier di fiscalità internazionale – Gli abusi fiscali alimentano povertà e disuguaglianza. Come anticipato da Icij, quando 120 politici di primo piano e giganti come Apple, Uber e Nike sono sospettati di eludere le tasse, a farne le spese sono i cittadini comuni, e soprattutto i più poveri. L’evasione ed elusione delle sole corporation, per esempio, costa ai paesi in via di sviluppo 100 miliardi di dollari l’anno. Un ammontare di denaro sufficiente per mandare a scuola 124 milioni di ragazzi e coprire le spese sanitarie indispensabili per salvare la vita a 6 milioni di bambini ogni anno.”
Tanta retorica ma ancora nessuna seria “lista nera” dei paradisi fiscali
“In questo contesto, chiediamo ai governi di collaborare per porre fine ai paradisi fiscali, creando una blacklist a livello globale, corredata da forti misure difensive e sanzionatorie”, aggiunge Ruiz.
Ad oggi nella “lista nera” dell’OCSE figura un solo Paese, Trinidad e Tobago. Mentre il processo di blacklisting in corso nell’UE - a forte connotazione politica e senza screening delle giurisdizioni europee più aggressive sotto il profilo fiscale - si svolge in totale segretezza, con l’amara prospettiva di un “esercizio a porte chiuse” che produrrà entro il 2017 una “lista nera” europea modesta o addirittura vuota.
La mancanza di ambizione nella UE su trasparenza finanziaria e fiscale
“Le informazioni sugli assetti e l’operatività paese-per-paese dei grandi colossi multinazionali dovrebbero essere rese pubbliche, per poter valutare se le corporation versano a tutti gli effetti la loro giusta quota di imposte in ciascuna giurisdizione in cui conducono le loro attività. – continua Ruiz - Allo stesso modo, le informazioni sulla titolarità effettiva di società, fondazioni e trust, dovrebbero essere rese pubbliche per prevenire la possibilità che individui facoltosi possano trasferire e gestire in forma anonima proventi di attività fraudolente.”
In merito alla trasparenza societaria, però, una proposta ambiziosa avallata dal Parlamento europeo (country-by-country reporting pubblico) non trova ancora, purtroppo, il consenso degli Stati Membri dell’UE. E anche il processo di revisione della IV direttiva europea antiriciclaggio, vede prevalere da parte dei Paesi Membri dell’Unione posizioni conservative, poco propense alla piena trasparenza pubblica dei beneficiari effettivi di diverse forme di entità giuridiche.
Un processo di riforma da democratizzare
Oxfam ritiene inoltre fondamentale avviare un nuovo ciclo di riforme sulla fiscalità internazionale d’impresa che ridisegni il sistema nell’interesse della collettività e non solo di pochi. La richiesta di istituzione di un organismo inter-governativo sotto l’egida dell’ONU, che possa guidare un simile processo è tuttavia osteggiata dai governi dei Paesi economicamente avanzati.
“Rispetto a quanto emerso dai Paradise Papers", conclude Ruiz, "chiediamo infine ai governi di avviare indagini pubbliche, con l’obiettivo di identificare misure di rafforzamento delle normative nazionali che possano prevenire pratiche diffuse di abuso fiscale.”