La città di New York aveva già reagito a poche ore dell'attentato terroristico di martedì scorso confermando la tradizionale parata della festa di Halloween. Ancora non era del tutto chiara la dinamica dei fatti, incerto anche il bilancio delle vittime, eppure migliaia di newyorkesi erano scesi in strada per gridare la loro voglia di non farsi condizionare e di non cedere alla paura. E domenica si replica con la maratona, un evento che va al di là dell'aspetto sportivo e che coinvolge non solo gli oltre 50.000 podisti ma l'intera città che aspetta questo come un momento di festa collettiva.
Poliziotti ovunque, sparsi un po' dappertutto
Era già successo il 4 novembre 2001 che la maratona si corresse in una situazione analoga. Non erano passati neanche due mesi dall'abbattimento delle Torri Gemelle da parte di al Qaeda e New York si ritrovò a vivere una maratona diversa dalle altre: gli atleti, ma soprattutto il pubblico lungo il percorso, i newyorkesi tutti, lanciarono la loro sfida al terrore gridando al mondo la volontà e la speranza di andare avanti, di resistere alla paura e riaffermare i valori dell'umanità e della convivenza fra i popoli. Come 16 anni fa, la Grande Mela è oggi di nuovo ferita. In termini di dimensioni, l'attentato di martedì alla pista ciclabile vicino a Ground Zero non è naturalmente paragonabile a quello delle Twin Towers. Eppure, il fatto che un Isis sconfitto sul campo in Iraq e Siria abbia ancora la capacità di trovare adepti nel cuore degli Stati Uniti non può certo lasciare nessuno tranquillo.
A chi viene da fuori, New York appare in questi giorni sempre la stessa. La città è il solito pugno nello stomaco: maestosa e disordinata, impressionante e caotica, semplicemente bellissima. Ti aspetti che, dopo l'attentato, Manhattan sia blindata e al primo impatto non appare così. Pensi che blindare una città come New York sia praticamente impossibile, neanche un esercito basterebbe. Ma poi, passeggiando per i larghi marciapiedi di Manhattan, ti accorgi che in effetti la citta è presidiata. Trovi poliziotti ovunque. Non solo davanti alle fermate della Subway ma sparsi un pò dappertutto.
Un episodio che spiega bene il nervosismo di New York
E poi, in aeroporto i controlli sono meticolosi e le file lunghissime: quando dici che sei venuto per correre la maratona, il poliziotto solleva per un attimo gli occhi dal passaporto, ti squadra, poi, senza dire niente, prende le impronte digitali a tutte e dieci le dita e ti fotografa l'iride. Un controllo di una manciata di minuti, in fondo nulla di straordinario. Eppure quando finalmente riesci a recuperare il bagaglio depositato nella stiva dell'aereo ti rendi conto che il tuo volo era atterrato ben due ore prima. E per nulla straordinaria è anche la fila ininterrotta di auto che unisce l'aeroporto alla città. Eppure, un episodio ti fa capire che New York forse ha i nervi a fior di pelle.
Il pullman con a bordo una cinquantina di maratoneti italiani sta per raggiungere con estrema lentezza l'albergo. Ha da poco attraversato il ponte di Queensboro facendo ingresso a Manhattan, quando, all'altezza della Madison Avenue, va a scontrarsi con un taxi, il classico yellow cab newyorkese, che rimane incastrato al parafango del bus impedendone l'apertura della porta d'uscita. L'autista del bus comincia a battere contro la parte interna della porta e inveisce, attraverso il vetro, contro il tassista, un pakistano con barba lunga e turbante in testa rimasto bloccato nella sua auto, non si capisce se ferito o comunque intenzionato a non spostarsi da lì. L'autista del bus afferra il telefonino e chiama la polizia: descrive l'episodio urlando in modo esagitato.
"In pochi minuti ci troviamo in una situazione di pericolo. Ingiustificato"
Dall'altra parte del filo riescono probabilmente a capire che un taxi guidato da un pakistano con turbante e barba lunga è andato addosso a un bus con a bordo una cinquantina di maratoneti italiani che ora sono bloccati lì in mezzo alla Madison Avenue perché il taxi ha ostruito la portiera d'uscita. In realtà si tratta solo di un banalissimo incidente d'auto e chi sta sul bus vive la scena con un pizzico di divertimento, appena velato dal desiderio di arrivare presto in albergo per farsi una doccia. Eppure, nel giro di pochissimi minuti, arrivano sul posto un'auto della polizia, due automezzi dei vigili del fuoco e un'ambulanza. Poliziotti e vigili circondano il bus e il taxi con dentro il pakistano. Il traffico, già impazzito per i due mezzi fermi in strada, viene bloccato. Un vigile del fuoco ha in mano una sorta di arpione che dovrebbe servire per 'liberare' il taxi. Qualcuno da lontano probabilmente penserà che c'è stato un altro attentato. In pochi attimi ci ritroviamo, insomma, in una situazione di allarme. Allarme totalmente non giustificato dagli eventi.
E infatti, appena vista la polizia, il tassista sposta il suo mezzo da solo e consente all'autista del bus di aprire la porta, di scendere e continuare a inveire contro tutto e tutti. I passeggeri del bus vengono fatti scendere e caricati su un altro mezzo e la situazione torna velocemente alla normalità ma l'esagerazione con cui il tutto è stato vissuto, è indice di una città inquieta che forse ha paura. Quanto meno paura di perdere la fiducia nel futuro. Sotto certi aspetti, la maratona di domani capita perciò nel momento giusto. Ancora una volta, gli americani, e i newyorkesi in particolare, vorranno esprimere la loro voglia di vivere e di gioire come risposta al terrore. Ma perchè ciò avvenga è essenziale che tutto domenica fili liscio.
Una maratona con i cecchini sui tetti
I controlli, già da sempre robusti, sono stati ulteriormente rafforzati. Non solo alla partenza e all'arrivo. Poliziotti saranno dislocati lungo l'intero percorso di 42,195 metri e ci saranno cecchini sui tetti. A differenza di quanto molti pensano, quella di New York non è la maratona più antica del mondo e neanche la più veloce. Ma è senz'altro quella più importante, quella che ogni podista vorrebbe poter correre almeno una volta nella vita. Se si esclude una manciata di atleti di elite, New York non si corre per fare il tempo. Per i 'personali' ci sono percorsi molto più veloci e scorrevoli come Berlino o Londra. Gli oltre 50.000 podisti che domani all'alba si ritroveranno a Staten Island sulla linea di partenza, cercano altro. Cercano l'emozione di trovarsi dentro un film, di correre su strade che fanno parte dell'immaginario collettivo dell'intera umanità. E questo vale naturalmente soprattutto per gli stranieri che sono tantissimi e rappresentano 125 diversi Paesi del mondo.
Prima che essere una gara, la maratona di New York è un'esperienza di vita da raccontare. È un giorno di festa per chi corre ma anche per chi sta al lato delle strade a incoraggiare senza sosta. Normalmente si calcola che siano circa due milioni e mezzo i newyorkesi ad accalcarsi per fare un tifo da stadio. E c'è da giurare che sarà così anche domani. Chi ha corso una maratona sa bene che ci sono, nel corso della gara, lunghi momenti di solitudine in cui devi trovare dentro di te le risorse per resistere alla fatica e continuare ad andare avanti. Qui non è così. Non sei mai solo.
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La corsa tra cinque distretti, senza essere mai soli
Il percorso della maratona tocca tutti e cinque i distretti di New York. Si parte appunto da Staten Island dove si attraversa il lunghissimo ponte di Verrazzano che taglia l'Hudson per oltre quattro chilometri e porta direttamente a Brooklyn. Da lì si risale verso il Queens, quindi si attraversa il ponte di Queensboro (temutissimo dagli atleti per la lunga salita della prima parte) e si entra per la prima volta a Manhattan. Quindi si punta a Nord e si raggiunge il Bronx, distretto che si percorre per pochi chilometri prima di rientrare a Manhattan attraverso Harlem e puntare a Centrale Park dove, dopo gli ultimi chilometri di faticosi saliscendi, si taglia finalmente il traguardo.
Ebbene, ogni passo dei podisti è accompagnato da qualcuno che lo incoraggia, gli sorride, gli urla qualcosa in una delle decine di lingue diverse parlate a New York. 'The show must go on' è sinceramente una frase abusata. Eppure non ci sono parole più efficaci per descrivere la sensazione che si prova nel percorrere le vie di New York prima, durante e dopo la maratona. Certo, in mezzo c'è anche il business: fermare la maratona comporta un costo economico inimmaginabile, fra sponsor, organizzazione, servizi. è come un treno in corsa impossibile da fermare. Eppure, non è solo business. E qui te lo dicono chiaramente: "Non vogliamo dare ai terroristi - ci dice all'interno del villaggio maratona una ragazza dell'organizzazione addetta al rilascio dei pettorali - la soddisfazione di cambiare la nostra vita, le nostre abitudini. Lo sport, le feste faranno sempre parte della nostra vita". Ma non avete paura che possa accadere qualcosa, anche qui dentro il villaggio? "Sappiamo - interviene un ragazzo al suo fianco - di essere nel mirino dell'Isis e dei terroristi ma l'America è più forte".