Cospirazione contro gli Stati Uniti, riciclaggio di denaro, dichiarazioni false e conti bancari segreti all'estero. Questi i principali capi d'accusa contenuti nelle 31 pagine del documento con il quale il procuratore speciale Robert Mueller ha incriminato l'ex capo della campagna elettorale di Donald Trump, Paul Manafort, e il suo braccio destro, Rick Gates, entrambi costituitisi e attualmente ai domiciliari. Il cosiddetto "Russiagate", ovvero le presunte interferenze del Cremlino nelle ultime elezioni presidenziali Usa sulle quali Mueller ha l'incarico di investigare, non c'entra però nulla, a differenza dell'incriminazione, anch'essa resa pubblica oggi, nei confronti di George Papadopoulos, ex consigliere di Trump per la politica estera.
Papadopoulos ha confessato di aver mentito all'Fbi riguardo ai suoi incontri con un non meglio specificato "professore" che, lo scorso anno, gli aveva promesso materiale scottante su Hillary Clinton, rivale del magnate nella corsa alla Casa Bianca. Ciò che le indagini dell'ex capo dell'Fbi su Manafort e Gates hanno invece portato alla luce è il legame dei due con l'ex presidente filorusso dell'Ucraina, Viktor Yanukovich, rovesciato nel 2014 e sostituito da un esecutivo filo-occidentale. Accuse che lasciano intravedere retroscena diplomatici suggestivi: se l'insediamento del nuovo esecutivo di Kiev fu sostenuto da funzionari di alto rango dell'amministrazione Obama, a partire dalla vicesegretaria di Stato Victoria Nuland, le carte di Mueller suggerirebbero che anche Yanukovich aveva dalla sua parte lobbisti con passaporto americano.
"Manafort e Gates erano agenti di Yanukovich"
"Almeno dal 2006 al 2015 (ovvero, fino a un anno dopo la destituzione di Yanukovich, nda) Manafort e Gates agirono come agenti non registrati del governo ucraino", si legge nel documento, secondo il quale i due lavoravano inoltre direttamente per il Partito delle Regioni, ovvero il principale raggruppamento a sostegno di Yanukovich. Un lavoro per il quale i lobbisti sarebbero stati pagati "decine di milioni di dollari", nascosti alle autorità di Washington tramite un sistema di scatole cinesi, che coinvolse sia società americane che straniere, e poi messi al sicuro su conti offshore. Da qui l'accusa di aver riciclato denaro e di aver mentito sia al fisco Usa che al dipartimento di Giustizia, che avevano chiesto loro conto di queste somme. Manafort avrebbe utilizzato i soldi per finanziare uno "stile di vita lussuoso", spendendo centinaia di migliaia di dollari in vestiti, antiquariato, tappeti e Mercedes. Solo l'accusa di riciclaggio, la più grave, potrebbe costare a Manafort e Gates vent'anni di carcere. Le condanne complessive potrebbero però salire fino a 80 anni.
Perché Trump ne esce (per ora) pulito
Trump ha reagito, sul suo social network preferito, ricordando che i fatti risalgono a prima che Manafort fosse assunto nel suo staff, nel marzo 2016, perché convincesse la frangia del 'Gop' più istituzionale a sostenere l'immobiliarista.
Sorry, but this is years ago, before Paul Manafort was part of the Trump campaign. But why aren't Crooked Hillary & the Dems the focus?????
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 30 ottobre 2017
Non solo. Come ricorda il New York Times, Trump licenziò Manafort dopo pochi mesi proprio dopo che gli era stato riferito degli oltre 12 milioni di dollari in fondi non dichiarati che Manafort aveva ricevuto dall'ex presidente ucraino in qualità di consulente. Le rivelazioni dello stesso Nyt, secondo il quale Manafort sarebbe stato presente a un incontro tra il genero di Trump, Jared Kushner, e un avvocato russo che aveva promesso dossier in grado di danneggiare Hillary Clinton, non sono per ora corroborate dall'inchiesta.
"Ho parlato con la nipote di Putin"
Più preoccupante per Trump è invece la confessione di Papadopoulos, che ha ammesso di aver avuto un colloquo, peraltro avvenuto in Italia, con un non meglio specificato professore che, grazie alle sue entrature al Cremlino, era in grado di fornirgli materiale compromettente sulla candidata democratica. Papadopoulos ha inoltre raccontato di essersi incontrato lo scorso marzo con l'ambasciatore russo e con una donna descritta come "la nipote di Putin". Questi contatti, prima nascosti e poi riferiti all'Fbi, avrebbero avuto come scopo organizzare un incontro tra Trump e il presidente russo. "Attraverso le sue omissioni e le sue dichiarazioni false, Papadopoulos avrebbe ostacolato l'indagine dell'Fbi sull'esistenza di legami o coordinamenti tra individui associati con la campagna elettorale e gli sforzi del governo russo per interferire nelle elezioni presidenziali del 2016". Sforzi dei quali, come sappiamo, l'intelligence americana si dichiara certa. "Pistole fumanti", per ora, non ce ne sono. Ma questo è solo l'inizio, e Trump lo sa benissimo.