Un tonfo sordo e tantissimo sangue. Questo rimase impresso negli occhi e nella testa di Monique Mabelly, all’epoca decana dei giudici istruttori di Marsiglia, la quale assistette all’ultima esecuzione capitale in Francia. Fu giusto quarant’anni fa, il 10 settembre 1977. Per ghigliottina. Il condannato si chiamava Hamida Djandoubi, aveva 27 anni – oggi ne avrebbe dunque 67 – ed era un immigrato tunisino.
Tornata a casa, il magistrato consegnò alla carta l’indelebile impressione, descrivendo l’intera scena dell’esecuzione al ministro Guardasigilli Robert Badinter, che divulgò il documento al quotidiano “Le Monde” nel 2013. Djandoubi fu condannato alla pena capitale per avere torturato e ucciso l'ex compagna. Il giudice indugia sulla descrizione fisica dell’uomo: “E’ giovane. I capelli nerissimi, ben pettinati. Il volto è molto bello, dai tratti regolari, ma ha il colorito livido e le occhiaie. Non ha nulla dello stupido o del bruto”.
Da ragazzo mansueto a sfruttatore omicida
L'ultimo ghigliottinato, e l'ultimo giustiziato in Europa occidentale, nacque a Tunisi in una famiglia di otto fratelli e subì da bambino le violenze della madre. Lasciò il Paese a 19 anni e chi lo conosceva lo raccontò come “un ragazzo dolce, mansueto, lavoratore e onesto” che grazie all’aspetto e ai modi faceva colpo sulle donne. Nel 1971, tuttavia, in un incidente con la motozappa si maciullò una gamba. “Da quel giorno, mi sono reso conto all’improvviso che non ero più normale” raccontò al processo “e ce l’ho avuta con tutti, specialmente con le donne”. Djandoubi conosce all’ospedale dove è ricoverato Elisabeth Bousquet, di appena 19 anni. Ben presto il loro idillio decade in una storia sordida: il tunisino la picchia e la obbliga a prostituirsi. A maggio del ’73, lei sporge una denuncia. I due si ritrovano dopo più di un anno, quando Elisabeth s’imbatte in Hamida. L'uomo, frattanto, ha inaugurato un ménage a tre con altre due ragazze che pure costringe a prostituirsi. E’ sotto gli occhi loro che per vendetta sevizia e poi strangola Elisabeth in un capannone a Lançon-de-Provence, nei pressi di Marsiglia.
Arrestato e processato, il 25 febbraio 1977 è condannato a morte. La Cassazione respinge il suo ricorso. Circa sei mesi dopo, il 10 settembre, l’esecuzione. Djandoubi è svegliato poco prima delle quattro del mattino. Senza dire una parola, si infila la protesi alla gamba offesa e senza opporre resistenza è condotto fino a un cortile coperto nella prigione marsigliese delle Baumettes. “C’è un silenzio particolarmente angoscioso, malgrado ci sia circa una trentina di persone attorno al condannato. Il tutto dura circa quaranta minuti. E’ decisamente troppo lungo e insopportabile”, racconta all’indomani dell’esecuzione Jean Goudareau, una degli avvocati del condannato.
Il boia gli rifiutò la terza sigaretta
Seduto a bere un bicchiere di rhum, Hamida Djandoubi fuma due sigarette. Non scrive nulla sul foglio bianco messo a disposizione di chi si avvia al patibolo per testimoniare gli estremi sentimenti e volontà. “Quest’uomo che sta per morire si conserva lucido – scrive il giudice Mabelly – e sa che non può fare altro che ritardare la fine di qualche minuto”. Neanche troppi: il boia, spazientito, gli rifiuta una terza sigaretta.
Si chiama Marcel Chevalier - operante dal 1958 nella triste attività, ma tipografo come primo lavoro - l'uomo che aziona la ghigliottina. All'esecuzione è presente suo figlio Eric, in veste di apprendista per succedere un domani al padre nella mansione.
Il momento è proprio arrivato: gli legano le mani dietro la schiena con una cordicella, gli tagliano il collo della camicia e lo portano alla ghigliottina eretta nel cortile. Appena qualche istante dopo e sarà morto. Sempre il giudice, in quel documento, ricorderà la quantità di sangue (“rossissimo”) effuso e la solerzia dei guardiani nel lavarne le tracce, come a cancellare subito l’avvenimento.
Il tunisino fu, oltre che l’ultimo nella storia di Francia, il terzo ghigliottinato sotto il settennato di Valéry Giscard d’Estaing all’Eliseo. Prima di lui Christian Ranucci a luglio 1976 e Jérome Carrein a giugno 1977, entrambi per il sequestro e l’assassinio di una bambina.
La pena capitale in Francia sarà abolita quattro anni dopo, sotto la presidenza di François Mitterrand, con la legge del 9 ottobre 1981. L'opinione pubblica era ormai decisamente contraria e vi contribuì anche la decapitazione di Djandoubi, il quale secondo un medico presente manifestò riflessi vitali per 30 secondi dopo la decollazione. Non era la prima volta che si notava questo straziante aspetto: nel 1905, il ghigliottinato Henri Languille girava gli occhi verso un testimone che lo chiamava per nome dopo il distacco della testa dal corpo.
A febbraio 2007, il presidente Jacques Chirac farà inserire nella Costituzione il principio che nessuno può essere condannato a morte.
La Spagna precedette la Francia nell’abrogazione della pena capitale e la sancì nel 1978. Gli ultimi giustiziati mediante garrota furono Salvador Puig Antich e Heinz Chez (2 marzo 1974) e gli ultimi fucilati (27 settembre 1975) i membri dell’Eta e del Frap Angel Otaegui Echeverría, José Luis Sánchez-Bravo Sollas, Juan Paredes Manot, José Humberto Baena Alonso e Ramón García Sanz. L’ultimo Paese europeo occidentale ad abolire formalmente la pena capitale è stato la Gran Bretagna nel 1998, ma l’ultima esecuzione Oltre Manica rimonta al 1964. In Germania la pena di morte fu abolita nel 1949 nella Repubblica Federale.
La fucilazione degli assassini di Villarbasse
In Italia la Costituzione entrata in vigore il primo gennaio 1948 abrogò la pena di morte (anche se fu contemplata fino al 1994 nel codice penale militare di guerra). L’ultima condanna a morte per delitti comuni fu eseguita nei confronti degli autori della strage di Villarbasse, in provincia di Torino, perpetrata a scopo di rapina il 20 novembre 1945. Il capo dello Stato Enrico De Nicola respinse la grazia e il 4 marzo 1947 furono fucilati Francesco La Barbera, Giovanni Puleo e Giovanni D'Ignoti. Avevano massacrato dieci persone a bastonate gettandole ancora moribonde in una cisterna.