Il pragmatismo cinese, distillato di cultura millenaria, può insegnare qualcosa al resto del mondo? Per esempio sulla controversia delle statue, che ha lacerato e lacera gli Stati Uniti con la rimozione dei monumenti degli eroi Confederati, primo fra tutti il generale Robert E. Lee.
Nella Repubblica di Taiwan hanno risolto senza troppa violenza la questione di Chiang Kai-shek, il “generalissimo” padre della patria nella cui effigie ci si imbatteva dappertutto fino a qualche anno fa, in forma bronzea, marmorea, dipinta. Scolpito nelle piazze, negli edifici pubblici, negli istituti scolastici.
L'ambìta foto fra centinaia di Chiang
Dal 2000 al 2008, quando l’esponente democratico Chen Shui-bian ha tenuto la presidenza dell’isola stato da sempre rivendicata da Pechino come parte integrante del Paese, è stata condotta una campagna per la rimozione delle migliaia di statue del “generalissimo” disseminate a Taiwan, malgrado la fiera opposizione del KMT (Kuomintang), lo storico partito di Chiang Kai-shek. Oltre 200 sue statue sono state ricollocate in un parco, vicino al mausoleo del leader nella città settentrionale di Taoyuan, altre invece sono state relegate nello Yongkang Park della capitale Taipei. Migliaia però restano ancora dove stavano nei vari luoghi dell’isola, anche se alcune sono state danneggiate per protesta nel settantesimo anniversario del massacro di civili taiwanesi perpetrato dal Kuomintang nel febbraio 1947. L’attuale proposta è di trasferire tutti i monumenti di Chiang nel parco di Taoyuan, compresa la statua di bronzo che lo raffigura seduto nella Memorial Hall della capitale, che gode tuttora di una guardia militare d’onore.
Le statue portate nel parco, che ammontano precisamente a 253, costituiscono anche un’attrazione turistica, perché è difficile resistere alla tentazione di farsi fotografare tra i Chiang Kai-shek di ogni forma, posa e dimensione. La statua più grande, in cui è seduto, fu tolta da un ufficio governativo nella città meridionale di Kaohsiung nel 2007. L’opportunità di visitare il parco è colta tuttavia anche da nostalgici del “generalissimo”, i quali arrivano a Taoyuan per rendere omaggio all’uomo che combatté prima contro le truppe del Giappone imperiale, poi contro l’avanzata del comunismo nella madre patria e assicurò l’indipendenza di Taiwan negli anni successivi, benché col pugno di ferro.
Un'epopea durata fino al 1975
Chiang (il cui nome nella pronuncia cinese mandarina è Jiang Jieshi) fu costretto a fuggire con i nazionalisti a Taiwan nel 1949, quando l’Armata Rossa di Mao Zedong vinse la guerra civile. Nello sforzo di rinsaldare un sentimento di appartenenza e identità nazionale nella popolazione locale, statue in suo onore furono erette in tutta l’isola, mentre la propaganda assicurava presto o poi un ritorno sul continente per scalzare il regime comunista. Chiang fu sempre rieletto presidente della Repubblica fino al 1972 e Taiwan fu l’unica Cina riconosciuta dagli Stati Uniti fino al 1979.
Dopo la morte di Chiang nel '75, e durante la transizione alla democrazia degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, si rafforzò un movimento di opinione per la rimozione dei monumenti.