Charta 08, di cui Liu Xiaobo fu promotore e che gli costò la condanna alla detenzione per undici anni, chiede una magistratura indipendente dal potere politico e una serie di libertà: di parola, di stampa, di religione, di assemblea, di associazione e di sciopero. Il documento, tradotto dal cinese per il New York Times da
Perry Link nel 2009, venne sottoscritto anche da altri trecento tra intellettuali, attivisti, avvocati e artisti cinesi. Soprattutto: usa toni molto duri nei confronti della Cina contemporanea. Nel testo non mancano riferimenti ai diritti umani, all’uguaglianza tra esseri umani, alla democrazia. Democrazia che per gli autori del manifesto significa soprattutto che “la sovranità appartiene al popolo e il governo è eletto dal popolo”: la garanzia di questi diritti, si legge sul testo, deve essere definita nella carta costituzionale. Charta 08 promuove anche la separazione dei poteri per creare un “governo moderno”, l’indipendenza della magistratura dal potere politico, e l’elezione diretta dei rappresentati del popolo sulla base del principio “una persona, un voto”. Il documento, poi, non esita a definire apertamente “autoritario” il sistema cinese: “Questa situazione deve cambiare! Non possiamo più rimandare le riforme per la democratizzazione politica”, si legge. E sui diritti umani, i firmatati chiedono al governo di garantirli attraverso l’istituzione di una commissione ad hoc per “proteggere la dignità umana”.