In questi giorni drammatici per la Spagna colpita al cuore dal terrorismo jihadista sono riemersi gli storici e insanabili scontri tra il governo di Madrid e quello della Catalogna. Anche in queste ore di dolore nazionale per le vittime della Rambla, governo centrale e autorità regionale si sono mal sopportate e rimpallate alcune responsabilità. In questi giorni in Spagna si discute sulla opportunità di rimandare il referendum sull'indipendenza della Catalogna da Madrid previsto per il primo ottobre (e mai riconosciuto dal governo). Riproponiamo cosa disse il presidente della Catalogna ad Agi il 3 luglio scorso, proprio sul tema dell'imminente refeendum.
Intervista pubblicata su Agi.it il 3 luglio 2017
“La Spagna non è il nostro paese. È contro di noi”. Il presidente catalano Carles Puigdemont, cinquantaquattro anni, una folta chioma castana, parla in modo calmo, sorridente, ma la sua è una sfida che porta avanti con determinazione: “nessuna azione del governo spagnolo potrà fermarci: non ci interessa quello che dicono e il primo ottobre il referendum per l’indipendenza della Catalogna si farà”.
Perché la Catalogna va al referendum
Siamo a Barcellona, e attorno al tavolo allestito per una colazione di lavoro-intervista nel palazzo presidenziale duecentesco, la Casa dels Canonges a due passi dalla Cattedrale, ci sono 7 giornalisti di diverse testate europee, fra cui l’Agi. Lo scorso 9 giugno, il presidente, sostenuto dalla maggioranza del Parlamento catalano, ha annunciato l’intenzione di convocare un referendum il primo ottobre.
Il quesito sarà “Volete che la Catalogna sia uno Stato indipendente in forma di repubblica?”. Il governo centrale guidato dal conservatore Mariano Rajoy ha detto che non autorizzerà il voto, che ha definito “anticostituzionale”, non invierà le urne e farà il possibile per impedire che avvenga. “E’ una questione di democrazia. Siamo stati eletti con questo mandato, non possiamo tradire gli elettori”, replica semplicemente Puidgemont.
"Chiediamo solo un futuro per i nostri figli"
Secondo gli ultimi dati della Camera di Commercio di Barcellona, i 7,5 milioni di catalani rappresentano il 16% della popolazione di tutta la Spagna, producono il 19% del Pil nazionale e pagano il 21% delle tasse complessive. Il ritorno è l’8,9% degli investimenti pubblici che, secondo Puidgemont, si riducono a circa la metà se si guarda ai progetti effettivamente finanziati. “Secondo voi questo è il segno di uno Stato che ci ama o che è contro di noi? Chiediamo solo un futuro per i nostri figli”.
Dopo che nel 2010 la Corte Costituzionale ha dichiarato nullo lo statuto che la Catalogna aveva finalmente ottenuto dopo anni di contrattazioni con il governo di Madrid, accettando molte riduzioni di autonomia rispetto alla proposta iniziale, il sostegno per la causa indipendentista ha registrato un forte aumento fra la popolazione catalana.
Da allora, imponenti manifestazioni di piazza (fino a 2 milioni di partecipanti) si sono tenute ogni anno, l’11 settembre, a Barcellona, al grido di “indipendenza”. Decine di migliaia di bandiere a righe gialle e rosse con una stella sono state appese fuori dalle finestre della capitale e del resto della regione (o meglio “nazione”, come dicono i catalani).
Puigdemont non ha paura che il governo intervenga con la forza per impedire il voto: “sono fiducioso che l’opzione violenta non sia sul tavolo”, ha detto ricordando di essere stato da giovane “un militante del pacifismo e della non violenza” mentre gli indipendentisti “non hanno mai nemmeno scheggiato una vetrina” durante le loro periodiche manifestazioni. “Barcellona – ha detto con orgoglio – è una città di pace. La nostra reazione è e sarà sempre civile”.
Madrid “si rifiuta di riconoscere che c’è un problema – secondo Puigdemont – Se lo facesse, dovrebbe proporre una soluzione. Quanto a noi, dopo il fallimento dello statuto abbiamo capito che non ci sono alternative all’indipendenza. Lo status quo è l’unica cosa che propone il governo, ma per noi non c’è niente di peggio della situazione attuale”.
Che succederebbe se Madrid non riconoscesse il voto?
Ammettiamo quindi che il primo ottobre il referendum si faccia e che vinca il sì. Nessun paese, tantomeno la Spagna, ha intenzione di riconoscere questo nuovo stato. Che succederà? “L’indipendenza diventa uno scenario. Cominceremmo a dialogare con l’Ue, la Spagna, gli altri paesi, per trovare una soluzione in questo scenario. Ci sarebbe un periodo transitorio più o meno lungo, durante il quale cercheremmo il modo migliore per separarci: abbiamo calcolato di avere le capacità finanziarie per reggere in tale fase. Questo non significa che non vogliamo continuare a contribuire al futuro di questo paese. Il nostro processo verso l’indipendenza non è contro la Spagna, ma contro il suo atteggiamento di chiusura totale nei nostri confronti”.
Inoltre, Puigdemont si dice “certamente più fiducioso nella società spagnola che nei suoi esponenti politici”. E aggiunge che “nei dibattiti politici alla tv nazionale non c’è mai nessuna voce a favore della Catalogna”
In crescita i consensi per l'indipendenza
E il re Filippo, potrebbe avere un ruolo? Su questo argomento, Puigdemont non vuole rispondere. Ma secondo le indiscrezioni, il capo dello Stato sarebbe molto preoccupato per la situazione, pur non avendo intenzione di intervenire nel dibattito, neanche per offrire una mediazione. Se lo facesse, dicono a Barcellona, perderebbe la corona e la Spagna diventerebbe una Repubblica. Quanto a Bruxelles, il presidente catalano è fiducioso: “non può perdere una delle sue regioni più ricche, che è anche parte delle radici dell’Europa. Abbiamo canali informali aperti con tutti i paesi”.
L’unica cosa che potrebbe fermare la sua determinazione è una sua sospensione dal potere da parte della Corte costituzionale, una possibilità prevista dalle leggi spagnole. “Non l’accetterei - risponde, con semplicità – e il giorno dopo verrei a lavorare lo stesso”. Nello scorso marzo, il suo predecessore Artur Mas è stato condannato a due anni di sospensione dai pubblici uffici per aver violato la legge avviando nel 2014 il processo per un referendum. Centinaia di altri esponenti politici catalani, compresa la presidente del parlamento Carme Forcadell, sono sotto processo per reati analoghi. Forse anche per questo il consenso per gli indipendentisti è in crescita. Se per decenni si limitavano al 15% - 20% dei catalani, dopo la sentenza del 2010 i sostenitori dell’indipendenza sono cresciuti superando il 30% e arrivando nel 2015 al massimo storico del 48,5%. Ora si calcola che siano un po’ al di sotto, ma anche se non voterà sì, la maggioranza dei catalani vuole il referendum: secondo i dati a disposizione del governo catalano, il 67% della popolazione è favorevole al voto anche se il governo centrale non lo autorizza.