La Brexit e gli attacchi terroristici a Londra e Manchester hanno preso in contropiede gli italiani che avevano in animo di trasferirsi in Gran Bretagna per ragioni di studio o di lavoro. Ma non - forse è questa la notizia - gli italiani che vivono già in una città inglese. Lo dicono i dati de ‘L’approdo’, l’iniziativa del Consolato di Londra per offrire assistenza e informazioni ai nuovi immigrati provenienti dal nostro Paese. Il servizio registrava una media di 60 persone a serata, ora il numero è crollato e si parla di 6 -7 italiani al giorno. A pesare è probabilmente l’incertezza sulla possibilità di poter restare nel Regno Unito anche dopo la Brexit. Forse più questo del nuovo rischio attentati. Comunque, il calo delle nuove richieste di trasferimento c'è.
C'è stata un'impennata di iscrizione all'Aire
Cosa diversa per chi già vive lì. A partire da giugno 2016 molti italiani già domiciliati in una città inglese che ancora non avevano regolarizzato la loro posizione hanno cercato di farlo. Il tasso di iscrizione all ’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero) e di richieste di servizi consolari è aumentato vertiginosamente, si parla - secondo fonti consolari - di 3000 italiani al mese. Ad oggi quelli ufficialmente registrati e che hanno una residenza inglese sono circa 330mila, ma i diplomatici stimano che il numero di immigrati che vive lì superi il mezzo milione. Si tratta della più grande comunità di italiani nel mondo. Il sottosegretario agli Affari Esteri, Vincenzo Amendola, intervenendo al Comitato per le questioni degli italiani all'estero del Senato, ha sottolineato che c’è stata un’impennata di iscrizioni.
Per far fronte all’emergenza la Farnesina ha permesso al consolato a Londra di fare delle assunzioni temporanee. Stesso discorso a Manchester. Per dare una risposta all'aumento delle richieste dei servizi consolari provenienti dai cittadini residenti nel nord del Regno Unito - solo a Manchester si stima ci siano 50.000 italiani - il ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale sta valutando di aprire una sede consolare nella città. La corsa a regolarizzare la propria posizione burocratica, secondo l'Aire, dimostrerebbe da una parte l'incertezza in chiave Brexit per chi vive Oltremanica da italiano; ma dall'altra anche una volontà di restare lì, di non rientrare.
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La paura degli attentati per ora non ha frenato il flusso turistico
L’estate è alle porte e la Gran Bretagna è considerata una meta abbastanza costosa, per questo già da diversi mesi in molti si sono affrettati a prenotare la vacanza o il periodo di studio all’estero per perfezionare la lingua inglese. Da un’ analisi condotta da Euromonitor Intenational, sembra che per il momento, nonostante i ripetuti attacchi terroristici non ci siano state cancellazioni. Ma la percezione del Regno Unito come destinazione non sicura potrebbe influenzare negativamente le prenotazioni dei prossimi mesi. Si tratta solo di un’ipotesi, sottolinea Euromonitor, perché dopo gli attacchi del luglio del 2005 nella metropolitana di Londra, il turismo in Gran Bretagna ha continuato a crescere del 9% rispetto all’anno precedente, nonostante il terrorismo. Tra l’altro dopo la Brexit e il conseguente calo della sterlina si è registrato un vero e proprio boom turistico. Sempre secondo l’analisi Euromonitor ci potrebbe essere un reale calo dei flussi tra la prossima estate e il 2020.
"Il terrorismo non sta cambiando i piani di chi vive qui"
"Sì, certo, quando giri per strada ci pensi, stai più attento a quello che vedi, osservi con più attenzione. Ma l'idea di rientrare a Roma sinceramente non mi è mai venuta". Filippo Mei ha 28 anni, romano e romanista, a Londra da 8 anni, prima come studente alla London Metropolitan University, ora come organizzatore di concerti in una delle più importanti società inglesi di 'booking musicale', quella che segue gli eventi di Adele e Bob Dylan, per capirci. E' uno dei tanti italiani che vive a Londra e continuerà a farlo, malgrado il clima teso che si respira dopo gli ultimi attacchi terroristici. "No, non ho mai pensato di rientrare. In Italia non avrei mai le opportunità lavorative che ho qui. La vita un po' è cambiata, nelle piccole attenzioni quaotidiane che hai quando ti sposti nei luoghi molto affollati. Ma si vede anche tanta Polizia in giro. La città è presidiata, non si avverte una sensazione di pericolo costante come si potrebbe pensare". Eppure le presenze negli stati sono diminuite. "E' vero - prosegue Mei - anche i controlli sono molto cambiati. Si possono introdurre negli stati zaini molto più piccoli. Ma non c'è la psicosi collettiva che viene raccontata. Questa è e resta una splendida città dove studiare e lavorare. Non credo che la paura del terrorismo modifichi qui i comportamenti di vita più che in altre grandi città europee. Dobbiamo imparare a conviverci e a continuare la nostra vita di prima".