Se per il semplice avvio dei negoziati c'è voluto un anno intero, quanto tempo servirà per arrivare fino in fondo al processo di uscita del Regno Unito dall'Unione europea? La domanda sorge spontanea quando si sta per celebrare il primo anniversario dal referendum che ha sconvolto l'Europa. I britannici che a maggioranza votarono il 23 giugno dell'anno scorso per lasciare il vecchio continente forse non erano stati adeguatamente informati su quanto complicato, lungo e gravoso il percorso sarebbe stato.
Per approfodnire: 10 cose da sapere sul divorzio di Londra dalla Ue
In 43 anni di appartenenza al 'club', anche il Paese più recalcitrante, nonostante una serie di distinguo e di 'opt out', la restituzione annuale di una parte dei contributi al bilancio comunitario, la mancata partecipazione all'Unione monetaria e allo spazio Schengen di libera circolazione, si è comunque legato a moltissime strutture comuni (decine e decine fra istituzioni ed agenzie europee) e questo rende complicatissimo il divorzio.
Il trattato prevede che tutto il negoziato non possa durare più di due anni da quando, lo scorso 29 marzo, è stata notificata l'intenzione di ricorrere all'articolo 50. Da allora, tre mesi sono stati persi da Londra nel tentativo di rafforzare la maggioranza governativa: l'obiettivo è stato mancato, come si sa, ma il negoziato comincia ufficialmente il 19 giugno, ovvero 21 mesi prima della scadenza. Vista da Bruxelles, la prospettiva di dedicare risorse umane, finanziarie ed energie al dossier Brexit è vissuta con un certo fastidio venato di un atteggiamento rivendicativo: "Non l'abbiamo certo voluta noi questa situazione". Dall'altra parte c'è però anche la consapevolezza che, almeno di fronte a questa sfida, gli altri 27 Paesi si sono uniti come raramente nella storia comunitaria, nonostante su tutti gli altri principali fattori di crisi per il vecchio continente le divergenze continuino a prevalere, spesso ostacolando la politica comune e rendendola meno efficace.
Per approfondire: Il conto della Brexit per Londra potrebbe salire a 100 miliardi
La prospettiva dell'uscita del Regno Unito ha in particolare rilanciato la politica di difesa e sicurezza comune: senza i 'no' britannici, su questo fronte l'integrazione ha ripreso a marciare spedita. Dopo la sconfitta elettorale di Theresa May, è poi inaspettatamente tornata di attualità l'ipotesi di un'uscita 'soft' o addirittura di un'improbabile marcia indietro complessiva.
Lo stesso neo presidente francese Emmanuel Macron ha detto che se per caso Londra cambiasse idea, l'Europa ne sarebbe lieta. Ma intanto il processo è avviato e appare difficile fermarlo. Il capo negoziatore europeo Michel Barnier guida una squadra composta da decine di tecnici di tutti i settori coinvolti, e sono state decise delle linee guida molto precise sulle priorità da seguire. Il Regno Unito, secondo Bruxelles, dovrà pagare tutto ciò per cui si è già impegnato, a partire dai contributi al bilancio Ue fino al 2020, perché importanti progetti già programmati e avviati non ne risentano; inoltre, dovrà accollarsi le spese del negoziato e del processo per la sua uscita.
Per approfondire: Addio Hard Brexit, Londra perde potere con l'Ue
Inoltre, vanno subito stabilite garanzie reciproche per i cittadini europei residenti nel Regno Unito (fra i 3 e i 4 milioni) e per i britannici che vivono negli altri paesi Ue (in gran parte pensionati). Infine, deve essere velocemente regolato il trasferimento delle agenzie Ue che hanno sede a Londra (in particolare, l'agenzia dei farmaci Ema e quella bancaria Eba). Le priorità inglesi non sono altrettanto chiare: la squadra di Barnier spera di conoscerle nel giro di poco tempo.