Spionaggio, corruzione e fughe. Sono gli ingredienti della vicenda che ha come protagonisti un miliardario cinese, l’élite di Pechino e l'Interpol; ed è una delle più controverse che abbiano al centro la Cina e la campagna anti-corruzione inaugurata cinque anni fa dal segretario generale del Partito Comunista Cinese, Xi Jinping. Il tycoon Guo Wengui accusa le spie di Pechino di aver sabotato l’intervista televisiva in cui avrebbe rivelato casi di corruzione delle alte cariche pubbliche cinesi. Le sue dichiarazioni toccano gli ambienti del controspionaggio e le intersezioni tra affari e politica.
Da almeno tre anni, Guo vive all’estero ed è noto anche con il nome di Miles Kwok, che usa per il suo account Twitter. E da alcuni giorni è emerso, dalle pagine del New York Times, che è membro del resort di Mar-a-Lago, in Florida, quello del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e che è stato scenario del primo incontro con il presidente cinese, Xi Jinping, il 6 e 7 aprile scorsi.
La red notice dell'Interpol
Guo ha rilasciato due interviste, a breve distanza, a media in lingua cinese con sede negli Stati Uniti, durante le quali ha puntato il dito contro alcuni esponenti della classe politica attuale e del recente passato, senza produrre reali prove. La sua vicenda è emersa quando è stato messo sotto indagine dall’Interpol, che ha emesso una “red notice” nei suoi confronti, come confermato mercoledì scorso dal Ministero degli Esteri di Pechino. La notizia ha provocato più di un sobbalzo in Cina, dove - scrive il South China Morning Post - è stata prodotta una campagna stampa contro di lui, che ha riportato a galla anche una delle figure più controverse finite sotto inchiesta per corruzione negli ultimi anni, quella dell’ex vice ministro per la Pubblica Sicurezza, Ma Jian, di cui per un lungo periodo si erano perse le tracce.
Le accuse di Guo
- Il figlio di un ex alto funzionario cinese, He Jintao, si sarebbe opposto, tramite un suo socio in affari, al tentativo di Guo di scalata alla Founder Securities, una delle più grandi società di brokeraggio in Cina, con un valore di mercato di circa dieci miliardi di dollari e che dal 2008 ha una joint venture con Credit Suisse. “Se potessi rendere pubbliche le prove contro di te, He Jintao, ti prometto che in 24 ore, dieci milioni di persone scenderebbero in strada e ti mangerebbero vivo”, ha dichiarato Guo in una delle due interviste rilasciate al Mirror Media Group, emittente in lingua cinese con sede a Long Island. Guo, scrive il New York Times, non avrebbe fornito prove, ma ci sarebbero documenti che provano la detenzione di una quota nella Founder Securtities, tramite soci in affari, di He Jintao, figlio dell’ex capo dell’anti-corruzione cinese, He Guoqiang.
- Guo accusa un vice ministro della Pubblica Sicurezza cinese, Fu Zhenhua, di averlo minacciato e di avere tentato di estorcergli cinquanta milioni di dollari e informazioni sensibili in cambio di protezione ai suoi dipendenti e alla sua famiglia. Le informazioni riguardavano, secondo quanto dichiara lo stesso Guo, il rapporto tra il capo della Commissione Disciplinare anti-corruzione, il potentissimo Wang Qishan, e la compagnia aerea Hainan Airlines: a volerlo sapere sarebbe stato direttamente il presidente cinese, Xi Jinping. Fu Zhenhua “mi ha chiesto di cercare informazioni su Wang Qishan e sul suo rapporto con la Hainan Airlines” nella quale avrebbe una quota la nipote di Wang, ha dichiarato Guo a Voice of America.
- Guo ha promesso di “sganciare una bomba atomica di accuse di corruzione” nei confronti delle famiglie di alti funzionari cinesi per i loro affari in alcuni imperi d’affari nel corso dell’intervista a Voice of America, interrotta dopo un’ora (su tre che ne doveva durare) per “pressioni da varie parti”. Il Ministero degli Esteri cinese avrebbe anche convocato un giornalista dell’ufficio pechinese di Voice of America per invitarlo a non pubblicare l’intervista. Guo ha negato l’accusa di corruzione e accusa il governo cinese di “usare tattiche terroristiche” contro la sua famiglia.
La campagna contro Guo e il video che lo accusa
Contro Guo sarebbe partita una campagna stampa condotta attraverso diversi canali, che vede l’apice in un'inchiesta pubblicata on line dal quotidiano Beijing News, nella quale il giornale della capitale cinese indaga sul passato di Guo e sui controversi affari della sua carriera. All’inchiesta è allegato anche un video: a parlare di fronte alle telecamere è l’ex vice ministro della Pubblica Sicurezza cinese, Ma Jian, dal gennaio del 2015 sotto indagine per corruzione. Il video dura circa 27 minuti: nessuno ne conferma l’autenticità, anche se l’uomo che vi appare, piuttosto malridotto, ha molte somiglianze con l’ex vice ministro cinese.
Tangenti per 8,7 milioni di dollari
“Ho sostenuto e aiutato Guo Wengui per ottenere benefici, e in cambio ho ottenuto benefici da lui”, ammette l'uomo nel video. Dal 2008 al 2014, il miliardario cinese avrebbe risolto le diatribe d’affari con l’aiuto degli agenti di pubblica sicurezza. Gli agenti mandati da Ma Jian avrebbero rivolto avvertimenti e minacce nei confronti dei concorrenti di Guo per convincerli ad abbandonare il campo da un affare o per altri scopi. Per questi servizi Ma Jian avrebbe ricevuto in cambio tangenti per sessanta milioni di yuan (8,7 milioni di dollari al cambio attuale). Intercettazioni telefoniche, congelamento di conti correnti, censura di commenti negativi on line, intimidazioni ai giornalisti e avvertimenti ai colleghi di evitare indagini sul suo cliente, avrebbero fatto parte del lavoro che Ma Jian svolgeva per Guo Wengui. Guo, da parte sua, non smentisce i legami con i vertici della Pubblica Sicurezza. In un’intervista rilasciata nel 2015 al quotidiano di Hong Kong South China Morning Post, Guo aveva confermato il rapporto di amicizia con Ma e che tra loro c’era una “relazione di lavoro”, ma nell’intervista a Voice of America nega di avergli pagato tangenti.
Chi è Ma Jian?
La vicenda di Ma Jian rappresenta uno dei più grossi misteri irrisolti nella storia quasi quinquennale della campagna anti-corruzione lanciata da Xi Jinping. Ma, ex uomo forte del controspionaggio cinese, si trova in stato di detenzione dal gennaio 2015, e da febbraio scorso è formalmente sotto indagine della Procura Suprema del Popolo, il più alto livello della pubblica accusa in Cina, per il sospetto di avere ricevuto tangenti. Il suo nome era scomparso dalle pagine dei giornali per molto tempo, prima di ricomparire in connessione a quello di un miliardario cinese scomparso a Hong Kong, Xiao Jianhua, sulle pagine del South China Morning Post. Xiao, definito il “banchiere dei potenti” per i contatti con personalità di spicco dell’attualità politica cinese e del passato recente, è stato prelevato da un albergo a Hong Kong alla vigilia del capodanno cinese, il 27 gennaio scorso, e da allora si troverebbe in stato di detenzione.
L'opacità della campagna anticorruzione cinese
La vicenda di Guo Wengui, tra molte cose apparentemente non dette e altrettanti buchi, dimostrerebbe l’opacità della campagna contro la corruzione in Cina, che prenderebbe di mira solo alcuni funzionari, legati a cordate di potere in declino per salvarne altri con contatti più forti con la leadership. Metterebbe anche in luce, però, il pericolo che può porre al potere cinese un miliardario che non teme di aprire bocca per svergognare, con o senza prove sufficienti per farlo, il potente di turno. La decisione di uscire allo scoperto, secondo quanto afferma al Guardian Willy Wo-Lap Lam, politologo di Hong Kong attento osservatore della scena politica cinese, sarebbe stata presa proprio evitare di fare la stessa fine di Xiao: molti miliardari sono scomparsi di scena a partire dalla fine del 2015 per un certo periodo di tempo, prima di ricomparire o di vedere confermate le indagini nei loro confronti.
La vita mondana del tycoon
Plausibile che Guo abbia preferito evitare lo stesso trattamento, anche se non sembra curarsi molto di rendersi irreperibile. Da tempo il tycoon cinese vive tra Central Park, a New York, e Londra, dove è stato fotografato in uno dei più esclusivi club della capitale britannica, il Mark’s Club, frequentato dall’alta società londinese e che annovera tra i suoi clienti anche l’ex primo ministro, David Cameron.