Da qualche giorno, nel campo profughi palestinese di Ain el Helweh a Sidone, nel sud del Libano, c'è la guerra. Sono finora 8 i morti e una quarantina i feriti negli scontri tra fazioni legate a Fatah e quelle islamiste, fedeli a Bilal Badr, che secondo alcune fonti è ora sotto la protezione di Fatah al Sham (ex Jabhat al Nusra). La battaglia in corso è solo l'ultimo capitolo di un conflitto territoriale che va avanti in modo irregolare perlomeno dal 2008 nel più grande dei dodici campi profughi palestinesi del Libano, e che vede contrapposte milizie islamiste e quelle palestinesi di al Fatah. Negli ultimi giorni la situazione sembra essersi stabilizzata ma gli equilibri rimangono comunque molto precari.
Il caso
La miccia si era accesa venerdi' 7 aprile nella piazza del mercato della frutta e verdura di Hay el Fokani, quando gli uomini di Badr hanno aperto il fuoco durante un controllo di sicurezza delle forze palestinesi, e sono rapidamente degenerati in una guerra senza quartiere con l'utilizzo di mortai e mitragliatrici. Come nel caso di altri campi profughi nel Paese dei Cedri, le condizioni di sicurezza di Ain el Helweh in questi anni sono state pesantemente influenzate dalla guerra in Siria e dall'afflusso di jihadisti che nei campi trovano rifugio e base operativa. Ad Ain eh Helweh, gli uomini di Badr controllano l'area di Al Tiri.
I precedenti
- Già a inizio marzo si erano verificati altri scontri con l'utilizzo di mortai. Nell'occasione la stampa libanese aveva riportato la notizia di un accordo tra le forze di sicurezza libanesi e quelle palestinesi, al fine di fare pressione sui gruppi islamisti - primo tra tutti Osbat al Ansar, formazione salafita - e spingerli a consegnare gli autori di vari attentati avvenuti nei mesi scorsi. Era stata anche stabilita l'istituzione di una forza speciale congiunta palestinese di cento uomini all'interno del campo, composta da elementi sia di Fatah che di Hamas, e guidata dal Brigadier generale Bassam Saad, con Saleh al Ghotani - esponente di Hamas - come suo vice.
- Inoltre, già dallo scorso novembre i ciclici scontri all'interno di Ain El Helweh avevano spinto le autorità libanesi a costruire un muro di cemento attorno al campo, munito di torri di guardia, nel tentativo di impedire che ulteriori jihadisti in fuga dalla Siria vi trovassero accoglienza. La barriera doveva essere completata in quindici mesi ma qualche giorno dopo l'annuncio la sua costruzione è stata sospesa.
L'obiettivo è la resa di Badr
La situazione, dopo i primi scontri scoppiati il 7 aprile, sembrava dopo pochi giorni già essersi stabilizzata: un cessate il fuoco sembrava imminente, con l'invio di due delegati islamisti nelle aree controllate da Fatah. Durante la negoziazione di una tregua, che avrebbe previsto il dispiegamento delle forze palestinesi di Fatah nel quartiere dove vive il leader islamista Bilal Badr, in cambio della sua sicura evacuazione, sono pero' ricominciate le sparatorie. Il capo delle unità di sicurezza palestinese, Subhi Abu Arab, ha perciò fatto sapere che le operazioni sarebbero andate avanti fino alla resa degli uomini di Badr e di Badr stesso, che attualmente ha fatto perdere le sue tracce. Nel frattempo, sono intervenute le forze speciali congiunte palestinesi, che sono arrivate anche a casa dello stesso Badr, senza tuttavia trovarlo. Intanto, dopo gli scontri dei giorni scorsi, fa sapere il direttore dell'Unrwa Claudio Cordone, 29 famiglie (in tutto 150 persone) sono state evacuate da Ain el Helweh e hanno trovato rifugio nel vicino campo di Mieh Mieh.
Una nuova Nahr el Bared?
Una fonte militare intervistata dal quotidiano al Joumhouria ha affermato che l'esercito libanese "non accetterà che quando sta accadendo nel campo si estenda al di fuori, perché la sicurezza di Sidone costituisce una linea rossa". Un'affermazione che lascia aperta la porta a un intervento diretto delle Forze di sicurezza del Paese dei Cedri, come accaduto nove anni fa nel campo di Nahr el Bared, a Tripoli. Intanto, per precauzione, le scuole attorno al campo profughi, nel quartiere di Hattin, sono state chiuse per timore dei colpi di mortaio caduti all'esterno del campo, ed è stata limitata la circolazione attorno ad Ain el Helweh, a causa della presenza di cecchini.
Secondo alcune autorità palestinesi, primo tra tutti Mahmoud Abbas, la sicurezza del campo dovrebbe essere gestita dall'esercito libanese. Il capo delle Forze armate, Joseph Aoun, ha fatto visita ai reparti dispiegati nel sud del Libano e nei pressi del campo di Ain el Helweh: "La sicurezza del campo e di ogni altra area del Libano - ha dichiarato - è parte integrante della sicurezza nazionale nel suo complesso".
La "dolce sorgente" del campo profughi
"Ain el Helweh", dall'arabo, si traduce letteralmente "dolce sorgente", ed è curioso come questa definizione evochi quanto di più lontano esista rispetto a questo immenso campo profughi, dove le condizioni di vita degli abitanti sono sempre più precarie e affatto "dolci". Per farsi un'idea, ad Ain el Helweh, secondo le Nazioni Unite, vivono circa 55.000 persone. Ma, secondo l'organizzazione Anera, invece, il massiccio afflusso di rifugiati siriani negli ultimi anni ha fatto in realtà arrivare la popolazione a 120.000 persone, lo stesso numero di una città grande come Pescara, in un'area però molto meno estesa di quella della città abruzzese. Gli scontri tra fazioni non fanno, quindi, che rendere insostenibile una situazione già difficilmente sopportabile.
Le regole del campo
Ain el Helweh fu istituito nel 1948 dal Comitato della Croce Rossa, per ospitare rifugiati palestinesi in fuga dal nord della Palestina, durante la fondazione dello Stato di Israele. La sicurezza interna del campo è delegata alle fazioni palestinesi, mentre all'esercito libanese è fatto divieto di entrare: per questo, molti media locali hanno sempre definito Ain el Helweh un'area dove non esiste legge. E le battaglie campali di questi mesi lo dimostrano.