Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan vede coronato il suo sogno di un passaggio della Turchia al sistema presidenziale che accresce in maniera esponenziale i poteri del capo dello Stato. A spoglio delle schede quasi completato il Sì vince di misura, con il 51,32% mentre il No raggiunge il 48,68%. Il risultato è un Paese spaccato.
"Chi vota No è nemico della Turchia"
Il Presidente è stato in tv tutti i giorni, ha tenuto senza sosta comizi nei quali non ha fatto altro che ripetere come un mantra gli anatemi contro "i nemici della Turchia", traditori e terroristi che voteranno 'No', mentre il Paese è invaso da manifesti giganti con la sua faccia che ripete che "l'amore per il Paese e il Sì vanno a braccetto".
Il merito della riforma, i cambiamenti all'architettura istituzionale del Paese, hanno così finito per costituire argomenti marginali al dibattito, da un lato perché il contraddittorio è stato ridotto a zero, dall'altro perchè tutta la questione ha finito con il ruotare attorno alla persona e alla figura del Presidente. "Non ci sarà alcuna dittatura, nessun governo autoritario. Questa riforma darà più forza alla Turchia contro i tanti nemici che dall'interno e dall'esterno del Paese attaccano la nostra stabilità e sicurezza".
La linea politica dettata da Erdogan al partito di governo Akp è chiara, il presidenzialismo viene venduto come la panacea a quasi due anni di attentati, crisi internazionali e collasso di moneta ed economia mentre chi si schiera a favore del 'No', se turco è "traditore o terrorista", se europeo "nazista o fascista". A cominciare dall'Olanda e la Germania, ma gli strali non si fermano nemmeno di fronte al Vaticano.
Erdogan vuole restare in sella più a lungo di Ataturk
A Erdogan, che si è congratulato con i partiti alleati, bastava comunque il 50% piu uno dei voti per vincere su una Turchia sì spaccata in due ma su cui comunque governerà come neo sultano. Certo non è il plebiscito cui Erdogan aspirava. Peraltro i partiti d'opposizione, i repubblicani kemalisti del Chp, e i curdi dell'Hdp, hanno presentato ricorso per 2,5 milioni di schede non vidimate dalla commissione elettorale (Ysk), ma comunque conteggiate.
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Dato rilevante perché i Sì sono 24.734.963 e i no 23.460.681 quando manca poco piu' dell'1% dello schede, uno scarto di poco più di 1,2 milioni per una riforma che, oltre ad aumentarne a dismisura i poteri, estenderebbe l'orizzonte politico di Erdogan fino al 2029, rendendolo il politico più longevo nella storia del Paese, addirittura più del padre della patria Mustafa Kemal Ataturk.
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In pratica sappiamo cosa aspetta la Turchia in caso di vittoria del Sì, mentre si fa fatica a immaginare cosa succederà nel Paese nel caso prevalesse il No. Le cassandre rievocano le elezioni del 7 giugno 2015, le prime dal 2002 in cui l'Akp perse la maggioranza assoluta. Mentre in troppi erano impegnati a celebrarne la fine, Erdogan era già passato al contrattacco.
Il naufragio dei colloqui per una coalizione infatti, ebbe luogo mentre il Paese sprofondata nel caos, con la fine della tregua con i curdi del Pkk e i primi terribili attentati dell'Isis nel Paese. "Io garantisco la stabilità, avete visto cosa succede se non vinco": strategia lineare e binaria che ha permesso a Erdogan di trionfare alle elezioni anticipate di appena 4 mesi dopo. Ecco perché una sconfitta il 16 aprile potrebbe spianare la strada a nuove tensioni e momenti di crisi, che e' lecito aspettarsi il presidente attribuisca ancora una volta alla sua sconfitta. Questo gli consentirebbe di cavalcare nuovamente la paura e l'incertezza per riacquistare voti e tornare alle urne piu' forte