Alla fine potrebbe uscire dalle urne un governo di grande coalizione, se non addirittura di centrosinistra. Ma intanto la campagna elettorale è stata fatta sull'agenda scritta dalla destra. L'Olanda, che sostiene di essere il principale laboratorio politico d'Europa, il 15 marzo andrà a eleggere il proprio parlamento in quello che viene considerato il primo test di tre passaggi destinati a disegnare il volto politico dell'Europa entro la fine di settembre. Il secondo sono le presidenziali francesi di aprile e maggio, il terzo le politiche di settembre in Germania. In tutti questi casi l'elemento di novità è rappresentato dall'emergere o meno delle forze sovraniste, populiste e nazionaliste, rafforzatesi dopo la vittoria degli euroscettici nel Regno Unito in occasione del referendum sulla Brexit e dell'affermazione di Donald Trump negli Stati Uniti.
Com'è nato il 'fenomeno' Wilders
In realtà l'Olanda non ha fatto da battistrada: prima del Partito della Libertà, che oggi contende al Partito Conservatore la leadership a livello nazionale, l'Europa aveva già conosciuto da anni il Front National della famiglia Le Pen ed il Partito Liberale austriaco. Per decenni la politica interna olandese è stata considerata la più noiosa di tutto il Continente. Poi è arrivato l'11 Settembre 2001, e in pochi mesi il Paese ha visto l'emergere del primo partito dell'ultradestra, l'Lpf. Il suo leader, Pim Fortuyn, venne ucciso nove giorni prima delle elezioni del 2002, ma la sua eredità è stata idealmente raccolta pochi anni dopo da Geert Wilders, ex esponente dei conservatori convertitosi nel frattempo al populismo.
Dotato di un indubbio fiuto politico, e da un aperto disprezzo per le minoranze (è finito sotto processo ancora lo scorso dicembre per i suoi apprezzamenti verso la minoranza olandese di origine marocchina), Wilders ha saputo assecondare due dei tre fenomeni che caratterizzano gli orientamenti elettorali in Europa e non solo: l'astensionismo, la montante protesta contro i partiti tradizionali, il crescente consenso verso i populismi. L'Olanda è ben lontana dall'astensionismo greco (44 percento) e italiano. Anzi, si prevede per quest'anno l'aumento dell'affluenza alle urne, già alta la scorsa tornata, al 75 percento.
Il Pvv di estrema destra adesso raggiunge il 30% dei consensi
Fino a tutti gli Anni Ottanta del secolo scorso la scena è stata dominata da tre partiti: i democristiani del Cda, i socialdemocratici del Pvda, i conservatori del Vvd. Insieme si dividevano circa l'80 percento dei consensi. La quota era scesa già nel 2002 al 60 percento, grazie anche all'ondata di solidarietà per la destra seguita all'assassinio di Furtuyn.
La scheda: "Olanda: frammentazione e rischio Wilders nel voto del 15 marzo"
Ma oggi si stima che i tre partiti messi insieme facciano il 40, che è la metà di trent'anni fa. Il resto è quasi tutto appannaggio della destra estrema di Wilders, che ha saputo giocare la carta del ceto medio impoverito (come sta facendo con meno successo l'Ukip in Gran Bretagna) e della paura dell'altro. Messi insieme, i vari partiti populisti che si contendevano questa fetta dell'elettorato nazionale riuscivano a mettere, nel 2002, il 20 percento. Adesso il Pvv di Wilders ha da solo quasi il 30. Più elettori, una testa unica: le migliori condizioni per tentare la scalata al potere, dopo un periodo di coalizione con i conservatori che si è rivelato deludente in termini di agenda politica e di consensi.
Si arriverà a un governo di coalizione
Probabilmente si andrà ad ogni modo ad un governo di coalizione, composta da quattro o cinque partiti. Una maggioranza eterogenea che però potrebbe esserlo molto meno del previsto. Pochi giorni fa Rutte ha scritto una lettera aperta al popolo olandese. Vi si legge: "In questo Paese c'è qualcosa che non va. C'è chi abusa della libertà che gli viene riconosciuta per portare scompiglio". Parrebbe una chiamata a non votare per i populisti. Ma poi aggiunge: "portare scompiglio quando è arrivato nel nostro Paese proprio grazie a quella libertà". E allora si capisce che, al di là dell'esito delle urne, Wilders ha vinto la battaglia culturale ancor prima della campagna elettorale. E che la sua ascesa, pur essendo agli inizi resistibile, adesso è, comunque vada, irrefrenabile.
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