Le multinazionali americane passano al contrattacco. Dopo le lettere ai dipendenti inviate in questi giorni dagli amministratori che si oppongono al divieto di ingresso negli Usa voluto dal presidente Trump, cominiciano le prime mosse concrete. Lo hanno fatto finora Starbucks, Aibnb e Google. Aziende diventate grandi grazie al talento e alla voglia di lavorare dei migranti. Scontata quindi una loro reazione all''ordine di vietare per 90 giorni l'ingresso negli Stati Uniti voluto da Trump e rivolto ai cittadini provenienti da sette nazioni a maggioranza musulmana: Iraq, Siria, Iran, Sudan, Libia, Somalia e Yemen. Da alcuni di questi paesi arriva infatti forza lavoro che rappresenta la forza vitale di molti dei colossi americani. Steve Jobs era di origini siriane.
Sono decine le lettere ai dipendenti inviate in queste ore dagli amministratori delegati ai propri dipendenti. Una concomitanza che non si verifica così spesso. Satya Nadella, amministratore delegato di Microsoft, è stato tra i primi. Indiano di origine, sa bene che il cuore pulsante della sua azienda è il talento che le big company sono capaci di attrarre, valorizzare e mettere a profitto. Alcuni stanno già passando alle prime iniziative concrete. A partire da Starubucks, multinazionale della ristorazione, che in queste ore ha deciso di assumere 10mila rifugiati per i propri punti vendita.
Le 10mila assunzioni di Starbuks
In una lettera 29 gennaio ai dipendenti, l'amministratore delegato Howard Schultz ha annunciato l'assunzione di massa per i rifugiati nel corso di un periodo di cinque anni in 75 paesi in cui la società è attiva. In una lettera ai dipendenti scrive che:
Azioni straordinarie, spinte dalla messa in discussione di un principio che ha fatto grande l'America, si legge nella lettera. Le prime azioni saranno mosse a favore delle popolazioni americane, dice Schulz, di origine tedesca, nato a Brooklyn da una famiglia emigrata dall'Europa e di umili origini.
Le case "libere" di Airbnb
Airbnb invece sta mettendo a disposizione per le famiglie bloccate negli areoporti le sue case. Una risposta per aiutarli nel momento del disagio dovuto alle nuove regolamentazioni che ne impediscono l'ingresso negli USA. "Airbnb sta fornendo alloggio gratuito ai rifugiati e chiunque non ammessi negli Stati Uniti," ha twittato sabato sera l'amministratore delegato della società Brian Chesky. 35 anni, anche lui è un immigrato. E' arrivato negli Usa dalla Russia a sei anni. Sono circa 200 le persone ad oggi bloccate all'ingresso degli States.
Il fondo da 4 milioni di Google
Ma l'iniziative economicamente più pesante ad oggi è quella di Google. Un fondo di crisi da 4 milioni di dollari per le persone colpite da divieto di immigrazione del presidente Donald Trump. La notizia è stata riportata stamattina dal quotidiano USA Today. Altri due milioni potrebbero arrivare da donazioni di dipendenti, e andranno a quattro organizzazioni umanitarie americane e delle nazioni unite. Si tratta, secondo il quotidiano, del fondo per emergenze umanitarie creato da un privato più grande di tutti i tempi.
187 dipendenti di Google a rischio frontiera
Il fondo è stato annunciato in una nota dal direttore generale Sundar Pichai e confermato a USA Today da un portavoce di Google. Pichai, 44 anni e nato in India, è tra gli imprenditori che più duramente ha criticato il divieto di Trump. Lo ha fatto con un memorandum interno durante il fine settimana, dicendo che è "duro vedere il costo personale di questo ordine esecutivo sui nostri colleghi." Sono almento 187 i dipendenti di Google ai quali potrebbe essere impedito partire o tornare dai propri paesi d'origine, ha detto Pichai nella sua lettera.