Il Cairo - E' "enorme" il numero delle torture sui prigionieri politici in Egitto. Lo ha raccontato Ahmed Abdullah, il presidente della Commissione per i diritti e le liberta' (Ecrf) in Egitto, che collaborava come consulente legale con la famiglia di GiulioRegeni nelle indagini sulla morte del giovane ricercato reitaliano. Ha riferito di aver assistito a "un enorme numero" di casi di tortura durante gli ultimi giorni in carcere. Abdullah, accusato di terrorismo e per il quale i giudici del tribunale di Abbassiya hanno stabilito sabato altri 15 giorni di custodia cautelare, era stato arrestato il 25 aprile scorso prima delle proteste contro la decisione del governo egiziano di cedere all'Arabia Saudita la sovranita' di due isole nel Mar Rosso. Ieri, tuttavia, lo stesso attivista ha rivelato di essere in carcere per il proprio impegno sul dossier Regeni: "Sono stati funzionari del ministero dell'Interno in persona a dirmelo nel corso dell'ultima udienza", ha precisato l'uomo.
Un alto funzionario della polizia egiziana coinvolto nel depistaggio
"Ho visto alcuni attivisti con segni di frustate sul corpo, altri sottoposti a scosse elettriche sugli organi genitali", ha raccontato Abdullah,alla presenza di diplomatici europei, ricordando l'ultimo mese di prigionia. "Le guardie inseriscono oggetti metallici sotto la pelle dei detenuti per aumentare il dolore provocato dalle scosse elettriche", ha proseguito l'attivista. Sul suo capo pendono nove capi d'accusa previsti dalla nuova legge anti-terrorismo. Lo stesso vale per il suo collega Mena Thabet, accusato anche di far parte dei Fratelli musulmani, movimento islamista fuori legge in Egitto. "Quello che so e' che queste accusesono state mosse nel quadro di un piu' ampio giro di vite contro le organizzazioni non governative nelle ultime settimane", ha osservato Abdullah. (AGI)