Londra - Sadiq Khan ha vinto le elezioni a sindaco di Londra ponendo fine a 8 anni di controllo conservatore della capitale britannica nella mani del rutilante Boris Johnson. Khan, di origini pakistane, è il primo musulmano sindaco di una capitale europea. Khan, che ha sconfitto il candidato conservatore/ambientalista, ebreo e multimilionario Zac Goldsmith, è un laburista non vicino alle posizioni estremiste e vetero-marxiste del suo segretario Jeremy Corbyn. Per quest'ultimo le elezioni, tranne che a Londra dove ha vinto con un suo uomo, registrano la perdita totale della Scozia, una volta feudo elettorale labour. Corbyn, rompendo con la tradizione dell'immediata assunzione di responsabilità dei leader politici britannici, ha annunciato che non si dimetterà.
L'elezione di Sadiq Khan alla poltrona di sindaco di Londra è l'unica nota positiva di una tornata elettorale disastrosa per il Labour Party, precipitato al terzo posto nelle preferenze degli elettori scozzesi. L'analisi tra dirigenti e simpatizzanti è pressoché unanime: la colpa è del nuovo presidente del partito, Jeremy Corbyn, il cui filomarxismo d'antan ha fatto ben poco per scaldare i cuori dei sudditi di Sua Maestà. Corbyn, che rompendo con la tradizione dei politici britannici abituati a trarre immediatamente le conclusioni delle sconfitte, non si dimetterà. Con Corbyn i laburisti "non sono credibili come futuro partito di governo", ha dichiarato oggi alla Bbc Ian Murray, membro dell'esecutivo ombra, "dovremmo riflettere su questi risultati, la leadership del partito deve riflettere e trovare una strategia che muti la percezione del Labour Party nel Regno Unito, così da avere una vera possibilità di vittoria nel 2020".
E a Khan saranno sicuramente fischiate le orecchie. Come il suo predecessore, Boris Johnson, pronto a sfidare Cameron per la leadership dei 'Tory', anche il primo titolare di un dicastero musulmano della storia del Regno Unito (fu responsabile prima del ministero degli Enti Locali, poi dei Trasporti, nel governo Brown del 2009) potrebbe puntare a utilizzare la City Hall come trampolino di lancio per Downing Street. Pur avendo votato per Corbyn al congresso laburista dello scorso settembre, l'ex avvocato di origini pachistane aveva puntualizzato subito di "non esserne una marionetta". Del resto i due non potrebbero essere più diversi. L'anziano Corbyn adotta una retorica pacifista e terzomondista vaga e datata e la sua ambiguità su numerosi temi chiave (Brexit in primis, nel 1975 voto contro l'allora Cee) lo rende poco rassicurante. Il quarantacinquenne Kahn è un pragmatico moderato che fu luogotenente del precedente leader labour, Ed Milliband e che quando entrò alla Camera dei Comuni, poco più che trentenne, non ebbe timore di aprire duri fronti polemici con l'allora premier Tony Blair.
Era il 7 luglio 2005, il giorno degli attentati jihadisti di Londra in cui vennero uccise 52 persone. Blair convocò Khan e gli altri tre parlamentari britannici di fede islamica e, secondo quanto raccontò al 'Guardian' Kahn (ricostruzione poi parzialmente ritrattata), disse loro che la tragedia era anche "loro responsabilità". "No, non lo è, mica ti do la colpa per il Ku-Klux-Klan" fu la risposta del giovane deputato, che poi fece una dura opposizione alle leggi sulla sicurezza che Blair aveva cercato di far approvare in seguito agli attacchi, in particolare la norma che avrebbe consentito di detenere i sospetti di terrorismo per novanta giorni senza formulare alcuna imputazione. Kahn, da ex attivista per i diritti umani, votò contro e contribuì a far saltare un provvedimento che, a suo giudizio, avrebbe esacerbato le tensioni tra i musulmani d'Albione e gli altri cittadini. Tre anni dopo Khan non avrà però problemi a votare un provvedimento che estendeva a 42 giorni i tempi della custodia cautelare. "Non si arriva da nessuna parte in politica se non si fanno compromessi: si vuole essere un politico da megafono o si vuole ottenere dei risultati?", spiegò, sempre al 'Guardian, interpellato al proposito. In queste due righe c'è tutta l'essenza del personaggio: realpolitik, un pizzico di sarcasmo british e schiettezza. Una schiettezza tale da consentirgli di mettere il dito nella piaga della radicalizzazione delle comunità musulmane, vedendo quello che molti fingono di non vedere, magari per correttezza politica. "Quando ero giovane non si vedevano donne con il velo, nemmeno in Pakistan quando visitavo la mia famiglia", affermò tre settimane fa, in piena campagna elettorale, "a Londra tutti vestivano allo stesso modo. Oggi si vedono persone nate e cresciute qui che scelgono di indossare l'hijab o il niqab". "Dobbiamo farci qualche domanda su cosa succede in quelle case, mi preoccupa che i bambini siano costretti a seguire uno stile di vita", disse ancora ai microfoni del London Evening Standard, "dobbiamo chiederci se la gente stia iniziando a pensare che sia opportuno trattare le donne in maniera diversa o se sono state indottrinate".
Kahn non solo è tutt'altro che ambiguo nel suo fermo sostegno ai diritti delle donne e degli omosessuali ma si era pure beccato una fatwa per queste ragioni. La sua fede religiosa era stata tuttavia oggetto di polemica anche durante la corsa alla City Hall. Il candidato conservatore Zac Goldsmith, ebreo e multimilionario, altrimenti protagonista di una campagna sotto tono, aveva distribuito volantini dove il figlio dell'autista immigrato dal Pakistan veniva definito "radicale" e "divisivo". "Hey Zac, non c'è bisogno di continuare a puntare il dito su di me gridando 'è un musulmanò, l'ho scritto nei miei volantini", fu la replica via Twitter di Kahn. Goldsmith insistè e attaccò Kahn per aver parlato durante una conferenza al quale era presente anche Suliman Gani, un imam radicale. Qualche giorno dopo uscì una fotografia che ritraeva Goldsmith in posa insieme a Gani. Forse il vero punto di forza di Kahn è stato, però, lo schierarsi apertamente contro la 'Brexit' laddove buona parte della classe dirigente laburista, Corbyn in primis, ha mantenuto un approccio tentennante per timore di allontanare gli elettori euroscettici, che si sono però comunque rivolti altrove. Come Boris Johnson, anche Goldsmith si era espresso a favore dell'addio di Londra a Bruxelles. Quindi agli elettori si è presentata una scelta chiara: con Khan in Europa, con Goldsmith fuori. Difficile pensare che le centinaia di migliaia di cittadini comunitari che vivono nella metropoli inglese abbiano optato per la seconda scelta. I voti degli italiani, dei francesi, dei polacchi e dei lituani che risiedono a Londra saranno stati in larga parte per Kahn. Nell'appello a "far vincere la speranza contro la paura" che l'ex ministro ha lanciato agli elettori c'era quindi anche una scelta europeista esplicita, esplicita almeno quanto la posizione pro-Brexit di Boris Johnson. Due personalità diversissime che hanno in comune l'ambizione. E quindi l'auspicio di ritrovarsi, tra cinque anni, a combattere per la poltrona di primo ministro. Nel caso, sarà un bel match. (AGI)