Roma - Khalifa al Ghweil non cede i poteri a Fayez al Serraj: la transizione in Libia subisce una battuta di arresto, ma non e' ancora chiaro si si tratti di una mossa negoziale da parte del capo del governo di Tripoli o di un rifiuto tout court in grado di precipitare il paese in una nuova guerra civile. "Nell'interesse pubblico vi e' richiesto di proseguire la vostra missione, secondo quanto prevede la legge. Chiunque collabori con il nuovo governo sara' perseguito", ha intimato Ghweil ai suoi ministri, che solo ieri sera avevano fatto sapere di lasciare l'icarico per fare spazio all'esecutivo sostenuto dall'Onu. L'annuncio fa calare il gelo sulle prospettive di un insediamento sereno di Serraj e rappresenta una frenata rispetto a una possibilita' di dialogo tra l'esecutivo uscente e quello benedetto dalla comunita' internazionale. "Per scongiurare spargimenti di sangue e divisioni informiamo che stiamo cessando le attivita' (di governo assegnateci) come il potere legislativo, la presidenza, il Parlamento e (la gestione dei) ministeri", si poteva leggere ieri in una dichiarazione apparsa sul sito web del ministero della Giustizia dell'esecutivo di Tripoli. La dichiarazione aveva fatto sperare le cancellerie occidentali, a partire da Roma, che con il capo della Farnesina l'aveva definita "incoraggiante". "La decisione adottata dai membri del Governo di Salvezza Nazionale e dalla grande maggioranza del Congresso di Tripoli di sostenere il Consiglio Presidenziale e il Governo di Accordo Nazionale -aveva detto Paolo Gentiloni- vanno nel senso auspicato di ricomporre il quadro istituzionale riportandolo nell'ambito dell'Accordo Politico firmato a Skhirat e di anteporre l'obiettivo di una Libia unita, stabile e sicura alle divergenze". Una dichiarazione, pero', non era bastata a fugare perplessita', che nella serata di oggi si sono di nuovo affacciate con forza. Il voto di fiducia del Parlamento libico al governo di unita' nazionale del premier Fayez al Serraj: sarebbe un segnale incoraggiante nel percorso democratico per portare a una Libia "unita e stabile", ha detto al'AGI l'ambasciatore, Giorgio Starace, inviato speciale del governo italiano per la Libia.
Il nodo, insomma, e' a Tobruk, e a ricordarlo e' arrivato quel Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica, che ha annunciato l'intenzione di sostenere "qualsiasi governo dovesse ottenere la fiducia del parlamento" di Tobruk. Intervistato dal giornale egiziano "al Ahram", il capo dell'esercito di Tobruk ha negato qualsiasi volonta' di dare vita ad un consiglio militare per la guida del paese ed ha aggiunto: "Noi non accetteremo la divisione della Libia ne' la vendita della nostra onorabilita'". Il generale ha poi aggiunto che "la battaglia contro il terrorismo e' decisiva e Bengasi e' ormai liberata", confermando infine l'esistenza di una cooperazione a livello militare e di intelligence con l'Egitto. Secondo fonti locali, il parlamento di Tobruk avrebbe inoltre avviato una sorta di trattativa con il premier libico, Fayez al Serraj, proponendo di dare velocemente la fiducia al nuovo esecutivo di riconciliazione nazionale in cambio della promessa di rimanere nella propria sede nella citta' della Cirenaica. Il portale "Sebrata Media Center" riporta che una parte dei deputati vorrebbero rimanere a Tobruk, mentre altri chiedono di ritornare a Tripoli. Quasi tutti sarebbero contrari alla decisione presa dalla Commissione costituzionale, che si riunisce in Oman, a proposito di spostare a Bengasi la sede del parlamento lasciando a Tripoli il governo. Per andare a Tripoli i deputati libici chiedono pero' che le milizie locali abbandonino la capitale, lasciando il campo ai soldati dell'Esercito libico del generale Khalifa Haftar, eventualita' che al Sarraj difficilmente riuscira' a far accettare ai miliziani che controllano la citta'. Un'alternativa alle forze di Haftar potrebbe essere quella del cosiddetto Esercito delle tribu' (Jeish al Qabail) attivo nelle altre citta' della Tripolitania. La corsa contro il tempo ricomincia, alll'ombra dell minacce dell'Isis, sempre piu' impegnato a colmare il vuoto di potere in Libia. Nel mirino c'e' Serraj, uomo simblo di questa transizione che vorrebbe essere, nelle attese di Roma, di velluto. L'iniziativa di un attentato al premier e' della formazione salafita Ansar al-Sharia (che l'11 settembre 2012 uccise l'ambasciatore americano Chris Stevens al consolato di Bengasi), unitasi al 2015 ad Isis. (AGI)