“Come sarebbe bello potere entrare, purtroppo non si può; mi hanno detto che è unica al mondo, che l’atmosfera spirituale è incredibile”.
È una notte di autunno, e siamo a Shiraz, nel sud dell’Iran, non lontano dalle acque del Golfo Persico, l’aria è ancora calda e 8 turisti italiani hanno deciso: vogliono entrare a tutti i costi nel mausoleo di Shahceragh, “il Re delle Lampade”, uno dei santi della confessione sciita; seduti nel bar Royal, vicino al bazaar di Vakil, nel centro storico della città; sono veneti e sono soddisfatti dell’espresso fatto nel bar gestito da tre giovani sorelle, e continuano a parlare del progetto che hanno per quella notte.
“Se Dio vorrà, vi porterò io ragazzi”. Un “iraniano” comprende il verbo di Dante è seduto al tavolo accanto e si offre per portarli dentro, proprio in quel luogo stupendo che vorrebbero vedere. L’avventura inizia.
Una storia di abnegazione
Era l’817 d.C. quando Ahmad ibne Moussà, venne assassinato a Shiraz. Il pio discendente in linea diretta di Maometto, era in viaggio verso il nord-est dell’Iran attuale, per raggiungere il fratello, Ali ibne Moussà (soprannominato Reza), ottavo Imam nella confessione sciita duodecimana; Ahmad venne assassinato, come il fratello Reza, entrambi solo per aver diffuso la parola del Signore, aver invitato alle buone consuetudini ed aver condannato la dittatura del califfo di turno, l’Abbaside Mamun. Una storia di abnegazione che ha reso però immortale Ahmad nel cuore dell’Iran; nei dintorni dell’anno mille, la dinastia persiana degli Ale Buyè iniziò ad abbellire la sua tomba; nel 1344 la dinastia degli Atabakan costruì il primo mausoleo; nel periodo Safavide (secolo 17esimo), venne edificiata una moschea magnifica e l’ultimo restauro del luogo avvenne nel 1960, nel periodo di Mohammad Reza Pahlavi.
L’esito è una delle moschee più belle del mondo, questo è indubbio.
L’ingresso nel cortile
Il complesso del mausoleo ha una decina di porte e rimane aperto 24 ore su 24; è un santuario sciita ed essendo potenziale obbiettivo di estremisti sunniti all’interno non si possono portare zaini e macchine fotografiche, ma si può entrare coi cellulari.
Gli italiani consegnano alla porta, alla custodia zaini e macchine fotografiche, per cui viene rilasciata una ricevuta; dovrebbe accompagnarli un membro della sicurezza del mausoleo ma “l’iraniano” convince a lasciarli entrare da soli, dicendo di essere il loro interprete. Sono le 23 ed il santuario è pieno zeppo di gente. Davanti alla cupola allungata che sovrasta il cenotafio di Ahmad, in un cortile immenso, abbellito con fontane come vuole la tradizione del giardino persiano, sono stesi tappeti e famiglie, con i bambini, sono sedute e pregano e chiaccherano felici.
L’atmosfera è incredibile; i bambini corrono, giocano e rincorrono i colombi che svolazzano e si posano per terra, alla ricerca di qualcosa da mangiare; le donne coi chador bianchi, rosa e neri vanno e vengono; passa pure qualche carrozzella, paralitici e malati vengono qui a pregare per chiedere la guarigione.
Il gioco delle luci, rosse sulla cupola e verdi sull’Ivan, il porticato dell’ingresso del cenotafio vero e proprio, dona un’emozione particolare.
Non si può entrare nella parte coperta (è vietato ai non musulmani), dove c’è lo Zarih, la gabbia metallica che sovrasta la tomba, ma l’iraniano è risoluto.
“Andate li dove c’è il tappeto, toglietevi le scarpe e mettetele in una delle buste di plastica; entrati non parleremo più italiano".
La tomba di Ahmad
Le donne, che all’ingresso hanno indossato il chador, entrano dalla porta delle donne; gli uomini e l’iraniano da quella degli uomini; non sono differenti i tratti somatici tra iraniani e italiani, in effetti all’inizio, nessuno riconosce gli ospiti che rimangono abbagliati dalla luce; si entra, si gira attorno alla tomba di Ahmad, si vede la gente che la tiene e prega, attorno chi prega, chi legge il Corano e chi dorme sereno, il profumo di estratto di fiori, di cui l’Iran è un grande produttore, fa impazzire; i lampadari sono giganteschi e le pareti ed il tetto sono interamente coperti di piccoli pezzi di vetro, che sono messi con angoli particolari, in modo da infrangere l’immagine di chi entra, perchè il fedele li deve pensare solo a Dio, e non a se stesso. Dopo un pò la gente si accorge che ci sono degli ospiti non musulmani; ma nessuno dice nulla; se ne accorge anche un signore della sicurezza, che sorride e regala loro una caramella, mentre gli italiani, per un istante, avevano temuto il peggio.
Quando le donne e gli uomini del gruppo si ritrovano in giardino, qualcuno dice che non se ne vorrebbe più andare.
Una delle italiane dice di essere stata abbracciata ed accolta dalle donne che stavano dentro; un’altra che le hanno aggiustato il chador; un’altra ancora racconta di aver pianto vedendo le donne che allattavano e che pregavano.
La missione è compiuta e gli 8 ragazzi italiani attraversano il cortile, le donne consegnano i chador che sono stati dati loro al momento dell’arrivo e poi si girano per vedere un’altra volta la cupola di Shahceragh, il Re delle Lampade.