Il socialista Evo Morales è stato confermato, per la quarta volta consecutiva, presidente di uno degli stati più poveri del Sudamerica. E oggi è chiamato a fare i conti con una Bolivia molto cambiata, soprattutto dal punto di vista economico.
Morales è al potere da 13 anni. Oggi al suo quarto mandato, è una delle figure politiche più controverse di tutto il Sudamerica: è stato il primo governatore indigeno di questa nazione. E ora, dopo una elezione burrascosa, dovrà fare i conti con un’economia nazionale in difficoltà e una parte dell'elettorato che gli è ostile.
Sotto il primo governo del presidente socialista, la Bolivia ha conosciuto una forza economica senza precedenti, con conseguente aumento del valore del Boliviano, la valuta del Paese. Il primo anno del primo mandato della presidenza Morales, per la prima volta dopo oltre 30 anni, si era concluso senza deficit fiscale. E durante la crisi finanziaria globale del 2007-2008, il governatore era riuscito a mantenere alcuni dei più alti livelli di crescita economica del mondo, portando a un boom il settore delle costruzioni e alla costituzione di grandi riserve finanziarie. Poi, negli ultimi anni, qualcosa è cambiato, rendendo lo scenario del quarto mandato di Morales tutt’altro che roseo.
L’Agi ne ha parlato con Davide Serraino, analista paesi e settori di SACE SIMEST e autore del report “Bolivia: Evo atto IV, cambiare per non morire”.
Attualmente, si può definire la Bolivia un paese in forte difficoltà economica?
"Storicamente, la Bolivia è uno degli stati più poveri del Sudamerica. Sotto i governi Morales, però, la nazione è riuscita a raggiungere e mantenere tassi di crescita sempre nell’ordine del 4/5%, dunque decisamente buoni. Questo è stato possibile fino al 2013 grazie al boom nei corsi delle commodity sui mercati internazionali. Poi però, una volta terminato il super ciclo delle materie prime, la dinamica economica nazionale ha subito un rallentamento".
È questo a cosa è dovuto?
"Quando il ciclo economico rallenta, se un governo ha dei margini per spendere lo fa con le politiche espansive, in modo da contrastare il ciclo economico negativo. In Bolivia è successo proprio questo. Lo Stato ha espanso il deficit fiscale efficacemente, visti i tassi di crescita in linea con quelli del boom delle commodity. Il prezzo da pagare, però, che poi è l’attuale problema boliviano, è l’aumento del debito pubblico, indotto da squilibri fiscali e di parte corrente crescenti. Questi sono i deficit “gemelli” che spesso possono portare a crisi di bilancia dei pagamenti, soprattutto in un Paese sempre più isolato, sia nel Sudamerica che nei rapporti con gli Usa. Parliamo di un paese che, a queste condizioni, farà molta fatica ad attrarre investimenti all’estero".
Che ripercussioni ha avuto tutto questo sulla popolazione?
"Gli effetti non si sono ancora pienamente manifestati: il reddito pro capite è aumentato notevolmente dall’inizio dell’era Morales fino al 2017/2018. L’aumento dei deficit di natura fiscale e soprattutto di parte corrente mette però a rischio i risultati ottenuti".
Quali sono le strategie da attivare per colmare il deficit di parte corrente?
"O emettendo nuovo debito o facendo ricorso a investimenti diretti esteri. Quest’ultima, però, non è la soluzione adatta al caso della Bolivia. Parliamo infatti di un Paese abbastanza chiuso, uno stato che intrattiene relazioni internazionali sempre più difficili. Una terza alternativa potrebbe essere l’utilizzo delle riserve valuta forte sospinto dal fatto che il tasso di cambio tra la moneta boliviana e il dollaro è sostanzialmente fisso, cioè varia entro un range molto contenuto".
E questo che effetti comporta?
"Un tasso di cambio che presenta queste caratteristiche fa perdere ancora di più la competitività ai prodotti boliviani. Se, infatti, da un certo punto vista può rappresentare un vantaggio per la mancata importazione di inflazione, molti economisti affermano che a un certo punto ci dovrà essere per forza di cose una svalutazione progressiva della moneta boliviana. E questa svalutazione produrrebbe inflazione e una riduzione del potere d’acquisto dei singoli cittadini".
La dinamica di saldi fiscali, di parte corrente e debito pubblico danno un’immagine della situazione economica boliviana poco promettente. Si tratta di una situazione destinata a persistere?
"Se si osserva l’immagine, proposta nel report, se ne riconosce subito la simmetria. Nel momento in cui il saldo fiscale e il saldo di parte corrente decadono a forte velocità, come nel caso della Bolivia, le conseguenze sul debito pubblico si vedono con forza negli anni immediatamente successivi. Il fatto che non ci sia, né nel saldo fiscale né in quello di parte corrente, un aggiustamento fa sì che il perdurare di questi deficit “gemelli” non possa far altro che accrescere il debito pubblico. Quindi, finché non verranno corretti questi due elementi, lo stock di debito pubblico continuerà la sua impennata".
Uno dei punti di forza del paese è l’abbondante presenza di gas naturale. Il paese riesce a sfruttare al massimo questa risorsa?
"Solo in parte. La Bolivia è sì il secondo Paese sudamericano per riserve di gas naturale ma lo esporta solo in Argentina e Brasile"
Anche per questo la Bolivia desidera disporre di uno sbocco sul mare?
"Esattamente. Ciò le permetterebbe di far passare il gas attraverso delle pipeline, non certo in Cile, ma quantomeno in Perù. Inoltre, la Bolivia potrebbe ridurre questa materia fossile allo stato liquido, per poi esportarla".
E poi c’è il litio
"La Bolivia possiede quelle che dovrebbero essere le prime riserve mondiali di questo metallo alcalino. Dico “dovrebbero” perché non ci sono dati validati a livello internazionale che fughino ogni dubbio sull’ampiezza delle riserve nel Paese andino. Ad ogni modo, l’obiettivo del presidente potrebbe essere quello di sfruttare anche questa risorsa, molto ambita in particolare dall’industria automobilistica, alle prese con la sfida dell’auto elettrica. Morales vorrebbe sviluppare internamente tutto il ciclo produttivo, dall’estrazione del minerale alla produzione di batterie da vendere ai principali gruppi automobilistici mondiali".
I rapporti economici con l’Italia sono buoni?
"Allo stato attuale, guardando ai dati dei flussi commerciali, li definirei piuttosto altalenanti. L’export italiano nel 2010 era di 45 milioni di euro, nel 2017 ha raggiunto i 114 milioni per poi scendere a 78 milioni nel 2018. L’import dalla Bolivia è oscillato, nello stesso periodo, tra i 30 e i 70 milioni di euro. Quindi l’interscambio – cioè la somma di import ed export – ha toccato un picco nel 2015, con 177 milioni di euro, per poi ripiegare. Ma questo è in linea con la crescita economica della Bolivia, registrata soprattutto negli anni di boom delle commodity. Una volta terminato il super ciclo è naturale registrare una diminuzione anche a livello di importazioni del Paese andino dall’estero".
Le esportazioni italiane, invece?
"L’export italiano, se guardiamo alle categorie merceologiche, è molto concentrato. Per quanto riguarda i primi tre settori, nel 2018 primeggia la meccanica strumentale con il 58,9%, seguita da apparecchi elettrici 11,9% e metalli di base con il 5,7%. Si tratta di un export non diversificato. E questo perché è l’economia boliviana a non essere diversificata".
Quale potrebbe essere una strada per uscire dalla situazione attuale?
"Una strada potrebbe essere la svalutazione controllata del tasso di cambio. Non penso a una svalutazione rapida e drastica: gli effetti potrebbero essere troppo pronunciati a livello inflazionistico. Però una sua versione progressiva potrebbe, al contrario, permettere alle merci boliviane di riacquistare competitività verso l’estero e, parallelamente, diminuire l’import del Paese dal mondo nonostante una domanda domestica che rimane vivace. Un’altra via, infine, potrebbe essere quella delle politiche fiscali, quindi di tagli di spesa selettivi, ma di attuazione non semplice".