Sophia va avanti altri sei mesi, ma resta senza navi. Dopo mesi di tensioni e un lungo braccio di ferro politico e diplomatico, gli ambasciatori dei 28 hanno raggiunto un compromesso che prevede che l'operazione lanciata dall'Unione europea nel 2015, potrà essere prorogata una seconda volta fino alla fine di settembre (la prima proroga era stata decisa a dicembre scorso fino al 31 marzo) ma dovrà svolgere i suoi compiti senza l'apporto dei mezzi navali. Un compromesso che "snatura l'operazione - attacca la Commissione europea - Sophia è un'operazione marittima e senza navi non sarà in grado di eseguire il suo mandato".
L'accordo sul ritiro delle navi, anticipato dall'AGI il 13 marzo scorso, nei fatti rende Sophia un guscio vuoto, ed è il risultato di un muro contro muro sulla questione degli sbarchi che va avanti da mesi. L'operazione Sophia nasce nei giorni drammatici della crisi migratoria del 2015, con lo scopo di contrastare il traffico illegale di esseri umani, anche se nel tempo ha assunto nuovi compiti, dall'addestramento del personale della Guardia costiera libica, fino al controllo sul contrabbando di armi e petrolio su indicazione dell'Onu. Il salvataggio in mare non rientra nei compiti dell'operazione, ma negli anni le navi di Sophia, in ottemperanza alle leggi internazionali e alla legge del mare, hanno portato a termine centinaia di soccorsi, salvando migliaia di persone.
Perché è saltato tutto
L'Italia, che ha avuto fin dall'inizio il comando di Sophia, con l'arrivo a palazzo Chigi del governo Conte, ha rimesso in discussione l'operazione proprio per l'eccessivo numero di arrivi da gestire tutti nei porti italiani e ha chiesto ai partner europei una redistribuzione dei migranti salvati in mare dalle unità europee. Il governo, in particolare Matteo Salvini (la posizione della Difesa era decisamente più sfumata), a gennaio ha annunciato che senza una redistribuzione degli sbarchi l'operazione sarebbe terminata. Ma la richiesta di Roma si è scontrata con il muro soprattutto del fronte di Visegrad, fermo sulla posizione già tenuta all'epoca della discussione sulla riforma di Dublino e deciso a rifiutare ogni forma di 'relocation'.
Secondo quanto risulta, una serie di perplessità sarebbero state espresse anche da Francia e Olanda che hanno accusato l'Italia di non rispettare gli impegni sui porti aperti e sui centri sorvegliati. Parigi e L'Aia sarebbero state disponibili a un dialogo in cambio della stessa disponibilità dell'Italia, ma fonti olandesi riferiscono di una chiusura netta di Roma. Fino all'epilogo odierno, che lascia operativi i compiti di pattugliamento aereo e di addestramento dei guardacoste libici, ma tiene in vita artificialmente un'operazione marittima, ma senza navi.