Aggirare con manovre a tenaglia ed attaccare al di là delle frontiere i barbari che minacciano le frontiere dell’Impero, per impedire che arrivino a stanziarsi all’intero dei suoi confini. Roma, linea del Reno, età giulio-claudia? Sì, ma anche Gallia del XXI secolo dopo Cristo.
Carnuntum in Pannonia come Bardonecchia in Val di Susa. Stesso problema, risposte simili: arrivano le popolazioni allogene, meglio tenerle lontane e colpirle prima che siano troppo vicine. Non lasciarle mai arrivare alla dogana. Dalle parti di Bardonecchia lo sanno benissimo, anche perché l’essere zona di frontiera creava problemi già all’epoca di Cesare. Tanto che i Romani, che avevano il problema di entrare in Gallia al loro piacimento, in Val Susa tenevano sempre aperta la via del Monginevro foraggiando e riconoscendo il titolo di re a Cozio, capo della locale tribù celtica dei Cozi, che ancora adesso dà il suo nome ai monti della zona.
Questo ebbe delle serie conseguenze, tra cui l’assedio di Alesia e la sconfitta di Vercingetorige. Ma poi i Romani ebbero il problema di difendere una linea di confine lunga quanto il Reno che, inevitabilmente porosa, rischiava di lasciar passare barbari germani suebi catti cherusci quadi e marcomanni. Tutti in territorio romano. Tutti da tenere fuori.
Elaborarono quindi l’idea di “difesa avanzata”, come spiega il polemologo americano Edward Luttwak nella sua Grande Strategia dell’Impero Romano. Consisteva nel tracciare una linea certa di confine, ma di impedire con una serie di azioni preventive condotte al di là di esso, quindi in pieno territorio esterno, il raggruppamento di formazioni di uomini, donne e bambini che potessero tentare di valicare la frontiera e cercare prosperità sotto l’ala protettrice di Roma.
Azioni armate, spesso condotte senza che ci fosse una necessità chiara ed una minaccia impellente, tanto che in qualche caso avevano l’aspetto delle azioni preparatorie ad una vera e propria campagna militare. Certo, non sempre andava bene: nel 9 dell’era volgare Publio Quintilio Varo, legato della Germania, nel corso di un’azione in terre incognite venne annientato con le sue tre legioni nel buio della Selva di Teutoburgo.
In effetti la strategia aveva le sue pecche: presupponeva un costante e costoso controllo del territorio esterno, creava problemi che oggi definiremmo diplomatici (Arminio, lo sterminatore delle legioni di Varo, era considerato da questi un fratello perché profondamente romanizzato, ma non accettava di vivere in una tribù a sovranità limitata). La politica delle incursioni oltreconfine, insomma, non rendeva. Non garantiva il successo; irritava i vicini, fratelli o no che fossero.
Tanto è vero che venne sostituita più tardi dalla dottrina della “difesa in profondità”. Consisteva nell’approccio esattamente contrario: lasciar passare tutti, per poi tutti distruggere una volta giunti nel profondo del territorio dell’Impero. Si apriva l’epoca dei grandi massacri per bloccare le migrazioni dei barbari.
Neanche questa però dette soddisfazione nel lungo periodo: prima di essere massacrati, i barbari distruggevano tutto ciò che trovavano, comprese alcune legioni imperiali e soprattutto i beni imponibili a disposizione del fisco. Tanto che Costantino passò ad una terza soluzione, anche questa dal sapore molto ma molto moderno: il Muro. Si chiamava Limes, confine, ed era una lunga, interminabile palizzata di legno sorretta da un sistema di strade e fortificazioni che scendendo dalla Frisia scivolava verso il Norico e la Rezia, sfiorando la Mesia e chiudendo la Dacia. Crollò nel giro di 80 anni. I movimenti migratori sono una cosa inarrestabile: sono la forza della Storia.