Il governo Conte esplora l’Oriente. Manca poco alla partenza del sottosegretario allo Sviluppo economico Michele Geraci per la sua prima missione in Cina (dove ha vissuto dieci anni), che si svolgerà tra fine agosto e inizio settembre, in parallelo a quella del ministro dell’Economia Giovanni Tria (27 agosto-1 settembre). Due missioni distinte con l’obiettivo convergente di rafforzare il dialogo economico tra Italia e Cina. La visita di Geraci è mirata all’aumento della cooperazione commerciale e degli investimenti.
Non solo: il Mise, che ha da pochi giorni lanciato la Task Force Cina, vuole aumentare l’interscambio commerciale con Pechino e la quota di investimenti diretti. Per farlo deve risolvere l’handicap che da sempre condiziona negativamente l’approccio dell’Italia nei confronti della Cina, che risulta frammentario e anti-sistemico. Il governo italiano appare ora intenzionato a elaborare una “nuova strategia nazionale di sistema", dice il sottosegretario in una intervista all’Agi.
Geraci parte da solo per una “missione esplorativa”, mirata a riagganciare i contatti nel mondo delle istituzioni e delle imprese, rinverdendo la solida rete di connessioni che il professore ha costruito negli ultimi anni in Cina, soprattutto a Shanghai, dove insegna finanza in prestigiose università, con lo scopo di preparare la “futura” missione con il ministro Luigi Di Maio, e una serie di incontri con le imprese in occasione degli eventi fieristici di Chengdu e di Shanghai, tra settembre e novembre. In cima all’agenda, l’attrazione di investimenti greenfield, soprattutto nei porti e nelle infrastrutture. Si parlerà anche di Alitalia, per la quale si ipotizza l’ingresso di capitali cinesi. Il sottosegretario chiarisce subito il dossier: “Per Alitalia cerchiamo un investitore non finanziario, asiatico e non necessariamente cinese, un azionista di minoranza con un progetto strategico”.
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Tria, come anticipato dal Corriere della Sera, andrà a cercare investitori che possano sostituire la Banca centrale europea nell’acquisto di titoli italiani. Con l'agenzia di rating Moody’s che ha rivisto al ribasso le stime di crescita del Pil italiano dall'1,5% all'1,2% per il 2018, e la fuga degli investitori stranieri dalle obbligazioni italiane (70 miliardi in due mesi secondo le stime della Bce), forse non è un momento favorevole per piazzare i bond e cercare investimenti.
Alcuni mesi fa, prima della nascita del governo giallo-verde, Geraci suggeriva l’opzione cinese per l’acquisto di titoli del debito italiano sul blog di Beppe Grillo, in un articolo che affrontava molti altri temi sui quali Italia e Cina possono cooperare, tra cui, appunto, la gestione del debito e dello spread. Del resto, in quel periodo insegnava Fixed Income Analysis alla New York University di Shanghai, quindi il professore si intende di debito e di obbligazioni. La Cina possiede 3mila miliardi di dollari equivalenti in riserve valutarie. Nel lungo articolo il professore illustrava alcuni dei capisaldi del Piano Geraci, che ha l’obiettivo dichiarato di evitare di farsi travolgere dall’avanzata cinese sulla scena mondiale, cercando di cavalcare l’onda dei progetti strategici lanciati da Pechino: la Nuova Via della Seta e Made in China 2025, “uno tsunami che spazzerà via la manifattura europea a meno che non siamo in grado di trasformare un rischio in una opportunità”.
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Non solo: Geraci è convinto che la Cina possa aiutarci a gestire il flusso di migranti in arrivo dall’Africa rafforzando la cooperazione tra Pechino e Roma sul continente africano. Il tema da cui parte questa intervista. “Abbiamo creato la Task Force Cina per analizzare il modello cinese, per capire quali sono le aree sulle quali possiamo cooperare con la Cina”.
Anche in tema di migrazione?
"La Cina ha gestito negli ultimi dieci anni un flusso migratorio interno tra le zone rurali e le zone urbane di circa 15-20 milioni di persone l’anno, per un totale di centinaia di milioni. Per me questo è un caso di analisi interessante perché il controllo del flusso migratorio è stato uno dei pilastri del successo, della stabilità e continuità della crescita economica degli ultimi 40 anni; anche se ha pagato un prezzo sociale, nell’insieme il sistema ha retto molto bene".
Ma per questo governo resta fondamentale la redistribuzione dei migranti
"Sulla redistribuzione delle migliaia di migranti che probabilmente arriveranno nei prossimi mesi, si possono trovare accordi temporanei. Il problema però non è come gestire le poche migliaia che arrivano di anno in anno, ma come gestire il potenziale migratorio dei prossimi dieci, venti, trent’anni, che riguarderà centinaia di milioni di persone. Ci tengo a ribadire un punto: questo governo non è contro l’immigrazione ma è contrario ai migranti illegali".
Ci spieghi
"Nei miei anni trascorsi all’estero mi è sempre stato chiaro che l’obiettivo della Lega, ora al governo con i Cinque Stelle, non è stato quello di essere contro l’immigrazione ma contro i migranti illegali; un dibattito chiaro dalla risposta ovvia. Mi sorprende invece costatare che, arrivando in Italia, i media e gli osservatori siano divisi su questo tema. Sul versante economico, non abbiamo mai detto che i migranti legali non portano beneficio alla nostra economia. Il contributo economico di un migrante sul Pil pro capite è positivo se il nuovo arrivato produce più del reddito pro capite nazionale. Se invece il valore prodotto mediamente dai migranti è al di sotto della media nazionale, il Pil procapite si abbassa. Chi è a favore della migrazione illegale dovrebbe suggerirmi fino a che punto è disposto a vedere il proprio reddito scendere"
In che modo la Cina può aiutarci a gestire i flussi migratori?
"Il problema è come stabilizzare la situazione sociale ed economica dell’Africa. Per farlo la Cina può venirci in aiuto. Pechino ha investito in Africa oltre 300 miliardi. Numeri, fatti, senza ideologia. Il tasso di povertà in Cina ha cominciato a decrescere a partire dalla metà degli anni ’90 (dal 60% al 40%) in coincidenza con l’aumento degli investimenti cinesi in Africa. Le infrastrutture nel continente africano migliorano, il Pil sale. La Cina sta portando in Africa il proprio modello di sviluppo basato su infrastrutture e urbanizzazione. Pechino non è Babbo Natale, non fa beneficienza. Va in Africa perché ha interessi commerciali, investe in risorse naturali ed energia. Gli interessi cinesi coincidono con la spinta positiva allo sviluppo sociale ed economico del continente africano. Prima che la Cina investisse in Africa, tra gli anni ’50 e gli anni ’90, il numero dei poveri era raddoppiato; il modello dell’occidente in Africa non ha dato i risultati sperati. Vogliamo avere un flusso migratorio incontrollato dall’Africa all’Europa? Non dobbiamo sottovalutare che accogliere migranti dall’Africa crea anche un forte problema per gli Stati africani che si vedono svuotati delle risorse produttive, probabilmente quelle migliori. Vogliamo che l’Africa si svuoti di risorse e di cervelli? Perché questa è la vera trappola. La Cina offre all’Europa, e all’Italia in particolare, un’opportunità storica di cooperazione per la stabilizzazione socio-economica dell’Africa che non possiamo assolutamente lasciarci sfuggire; dobbiamo quindi rafforzare la cooperazione tra in Italia e Cina in Africa".
Quindi cosa fare? Qual è la strategia del governo?
"Alla base della riduzione dei flussi migratori c’è l’economia. La prima cosa da fare è aumentare il benessere economico e sociale dell’Africa, a partire dalle industrie che impiegano capitale umano; agricoltura, infrastrutture, estrazione di risorse naturali. Ci vogliono persone per fare le ferrovie, i porti; costruttori, architetti, ingegneri. "Dove passano le merci, non passano le armi" recitava un antico brocardo. Noi diciamo, “dove cresce l’economia, la gente non lascia la propria terra”".
Sono questi i settori sui quali collaborare?
"L’Italia ha varie cose di cui l’Africa ha bisogno, tra cui agricoltura, sicurezza alimentare, dove siamo all’avanguardia, macchinari agricoli, e società che costruiscono infrastrutture in giro per il mondo. L’Italia può aiutare la Cina ad aiutare l’Africa".
Avete già accordi in cantiere per costruire la cooperazione tra Italia e Cina nei Paesi Terzi anche nell’ambito della Nuova Via della Seta?
"Siamo qui da due mesi, si lavora per disegnare la cornice istituzionale. Stiamo rivedendo i documenti che abbiamo ereditato, stiamo lavorando per arrivare a un accordo concreto".
Lo firmerete già nel corso di questa prima missione a settembre?
"Stiamo ancora definendo il programma della visita, che è di supporto alle missioni successive. Stiamo studiando con l’obiettivo di portare presto a casa accordi concreti su infrastrutture, agricoltura, macchinari. Metto tutto in un paniere: mi presento al tavolo delle discussioni con un approccio sistemico per la promozione del brand Italia".
Partiamo dalla proposta di venire a investire, cosa proporrete ai cinesi?
"Ai cinesi andiamo a proporre cooperazione win-win, sia sulla partita corrente che sul conto capitale".
Sia più preciso
"Il mio obiettivo prioritario è l’aumento dell’interscambio. Oggi esportiamo in Cina per circa 15-16 miliardi e importiamo per circa 32. Possiamo aumentare l’export, che già mostra segnali di miglioramento, ma a ma va bene anche aumentare l’import. A partire dai settori dell’agroalimentare e della meccanica. Dobbiamo aiutare soprattutto le piccole e medie imprese italiane a vendere di più in Cina, perché sono quelle che hanno più bisogno del nostro aiuto; e stimolare gli investimenti cinesi in Italia. Avendo vissuto in Cina, so esattamente cosa cercano i cinesi e cosa possiamo offrire loro. In Europa dobbiamo diventare il partner privilegiato della Cina, cosa che in passato non è successo forse a causa di posizione ideologiche negative nei confronti di Pechino, che ci ha fatto superare dai Paesi dell’Europa Centrale".
Perché i cinesi dovrebbero sceglierci?
"Per conoscenze, per know-how, per affinità culturale, che li avvicina a noi molto più di quanto l’Italia non sia legata ai Paesi del Nord Europa, per posizione geografica".
Vogliamo parlare della promozione dell’Italia nell’ambito della Via della Seta?
"Il Mediterraneo viene spesso descritto come un problema perché siamo il Paese più a sud. Ma proprio perché siamo il Paese più a Sud, è bene sfruttare questa posizione in modo positivo, diventando un hub per l’Africa, per il Sud America. Il nostro problema è sempre stato sistemico: è ora di sbarazzarci di questa pecca".
Non abbiamo mai imparato a fare sistema e il risultato è che la Francia esporta circa il 35% in più dell’Italia
"Abbiamo centinaia di migliaia di imprese che esportano, ma le nostre Pmi hanno difficoltà ad accedere al mercato cinese, anche per scarse condizioni di reciprocità: dossier sui cui intendiamo lavorare. Dobbiamo spiegare meglio alle aziende italiane come funziona il mercato cinese, di cui si ha una percezione sbagliata, forse per le troppe aspettative. Risolvere questa difficoltà è uno dei nostri compiti".
In che modo?
"Uno: aggregare, partendo dai prodotti delle nostre imprese. Due: capire il potenziale di produttività delle nostre compagnie. Se vogliamo esportare di più, dobbiamo capire se possiamo produrre di più. Questo non lo dice mai nessuno. Abbiamo la capacità produttiva per sostenere le nostre esportazioni?"
Tre?
"La Cina, nelle sue dinamiche di crescita, ci dà molte indicazioni su quello vuole. L’errore che abbiamo fatto in passato è stato di cercare di vendere ai cinesi quello che noi produciamo, nella auto-illusione che tutti debbano comprare i nostri prodotti perché sono i migliori. Non è così: noi dobbiamo vendere alla Cina quello che la Cina vuole".
Cosa vuole la Cina?
"Sicurezza alimentare, per esempio. La classe media è composta da 250 milioni individui disposti a spendere per essere certi che il cibo non sia contaminato (non parliamo di gusto, su cui è difficile competere con la Cina che ha una tradizione di millenni). Non dobbiamo vendere la pizza. Dobbiamo vendere la pizza che non fa male ai bambini".
Cos’altro possiamo dare ai cinesi?
"Know-how tecnologico".
Continuiamo quindi a cedere le nostre aziende?
"Dobbiamo invertire la marcia: possiamo vendere i nostri prodotti, non le aziende".
Ma qualcuno teme che andiate in Cina a svendere i nostri asset
"Non vogliamo vendere aziende, quindi non possiamo svenderle. Noi vogliamo che la Cina venga a investire in attività di greenfield o brownfield, non solo in acquisizioni. Gli affari cinesi in Italia negli ultimi dieci anni si sono focalizzati su operazioni M&A: dei 25 miliardi di dollari entrati in Italia, neanche 2 miliardi sono stati investititi in attività greenfield. Da oggi vogliamo investimenti che portano nuovo valore, creazione di nuovi posti di lavoro sul territorio, indotto economico, e apertura del mercato cinese ai nostri prodotti".
Come ci difendiamo dal Made in China 2025 che lei ha definito uno tsunami?
"Made in China 2025 è il piano con cui la Cina vuole creare il manifatturiero avanzato e puntare sul green e sull’innovazione: non più magliettine ma intelligenza artificiale, robot, auto elettriche. Abbiamo lanciato la Task Force proprio per prepararci allo tsunami, cavalcare l’onda per renderla positiva".
Cosa mi dice degli investimenti italiani in Cina?
"Se la Cina si è concentrata in Italia su operazioni M&A, l’Italia in Cina ha fatto esattamente il contrario: molto greenfield. Le aziende decidono autonomamente, è chiaro, ma il nostro obiettivo è fornire chiare opportunità di investimento".
Dove investire?
"La partita più grossa si gioca nella green economy: il settore che in Cina crescerà tantissimo. Non mi riferisco solo alle auto elettriche, ma anche alla gestione delle smart cities, alla digitalizzazione, alla gestione dei rifiuti, al waste managenment (pulizia fiumi, laghi, terreni agricoli). Però bisogna fare presto, siamo tremendamente in ritardo".
Tornando sulla Nuova Via della Seta, quali sono le opportunità per l’Italia?
"Belt and Road crea opportunità in Africa e in Asia Centrale. Dobbiamo iniziare a muoverci, recuperare il terreno perduto con Francia, Germania, Olanda, Belgio. L’industria dell’energia è un settore dove dobbiamo puntare. Di recente sono stato in Azerbaijan con il presidente della Repubblica. Abbiamo visto storie di successo di aziende italiane. Stiamo studiando delle tappe anche in Georgia. La posizione strategica di questi Paesi, tra il Mar Caspio e il Mar Nero, li rende uno dei corridoi obbligati per arrivati in Europa dall’Asia Centrale. In queste aree dobbiamo avere un ruolo anche nei confronti della Cina".
Di recente i capitali cinesi non sempre vengono visti di buon occhio. La Germania sta cercando di limitare gli investimenti cinesi nei settori strategici. Il Center for Global Development ha calcolato che otto Paesi sono sulla strada della «trappola del debito» con la Cina. Per non cascarci la Malesia ha bloccato i lavori per la linea ferroviaria East Coast Railway Link.
"Chi cade nella trappola del debito? I Paesi in via di sviluppo. La trappola scatta quando l’ammontare del prestito che un Paese elargisce è la parte dominante del Pil. Non succede di certo se uno fa investimenti di dieci miliardi in Italia".
Si parla da tempo dell’interesse cinese di investire nel porto di Trieste.
"Non c’è solo Trieste. Voglio promuovere gli investimenti cinesi nelle infrastrutture e nei trasporti".
Che tipo di accordi proporrete ai cinesi?
"Investimenti in porti e in linee aeree attraverso acquisizioni di quote di minoranze. Sulle compagnie di volo, una volta tanto ci tutela l’Europa che stabilisce che l’azionista di un Paese straniero deve essere di minoranza. La legge europea si bacia con il mio piano".
Quali sono i potenziali acquirenti di Alitalia?
"Non ho in mente solo un’azienda cinese. Cerchiamo un investitore strategico, di lungo termine, disposto a rilanciare la società, non a salvarla. Una compagnia aerea asiatica potrebbe essere la soluzione migliore, molto più interessante di una tedesca che verrebbe a farci concorrenza".
Alitalia ha fermato il volo Roma-Pechino per “rotta in perdita e slot sfavorevoli”.
"Non sappiamo fare Gt2G. Sono i governi che devono trattare. Torno a dire che dobbiamo adottare un approccio sistemico, come fa la Cina, che agisce da sistema".
Il Silk Road Fund controlla il 5% di Autostrade. Il crollo del ponte Morandi e la revoca della concessione avviata dal governo rischia di creare un conflitto con Pechino?
"Se i cinesi solleveranno il problema lo affronteremo. Anche su questo ho già delle idee che sottoporrò ai nostri interlocutori".
Per chiudere, in questo momento di incertezza e di turbolenza sui mercati internazionali, un investitore straniero avrebbe interesse a investire in Italia?
"Certo, perché no. I fondamentali economici italiani sono non buonissimi ma buoni. Penso che i cinesi ci daranno fiducia".