Il Metropolitan caccia il cattivo Maestro. “Abusi sessuali e molestie ripetute per anni nei confronti di giovani artisti di sesso maschile, vulnerabili e alle prime armi”, scrive il teatro più famoso d’oltreoceano per giustificare l’allontanamento del più famoso direttore d’orchestra americano dai tempi di Leonard Bernstein. E James Levine, 2.500 rappresentazioni a New York e altrettanti successi nel corso degli ultimi quarant’anni, ha dovuto abbandonare il palcoscenico. Nega ogni responsabilità, giurando che “chiunque abbia conoscenza di me e del mio carattere sa che mai e poi mai userei violenza ad alcuno”, ma le accuse nei suoi confronti sono emerse nel corso di un’inchiesta definita attendibile dalla dirigenza del Met. Settanta testimoni ascoltati nel corso del tempo, quattro dei quali pronti a puntare il dito contro colui che fino a ieri era un vero e proprio monumento vivente all’arte della musica, ed oggi è un altro uomo di spettacolo travolto dallo tsunami provocato dal movimento #Metoo.
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Levine ha 74 anni e da due ha lasciato l’incarico ufficiale presso il teatro, continuando a lavorare con la carica di direttore musicale emerito e responsabile del programma di formazione dei giovani artisti. Vive su una sedia a rotelle per colpa di un incidente che lo ha lasciato incapace di muovere le gambe. Già dallo scorso dicembre risultava sospeso dall’incarico proprio a causa di questa inchiesta molto imbarazzante, imposta da un articolo del New York Times.
Una faccenda che piomba sul Metropolitan nel momento meno opportuno: gli incassi al botteghino diminuiscono perché in tempi di vacche magre si tagliano gli svaghi, ed aumenta di conseguenza la dipendenza dalle donazioni dei privati. Bisogna trovarne sempre di più, sempre più generosi per coprire il bilancio da 300 milioni di dollari l’anno necessario a portare avanti la più potente macchina culturale che agisca nel mondo delle arti da palcoscenico americane. Forse non basterà l’aver sacrificato Levine, perché sono già in corso le polemiche sul ritardo con cui il general manager del teatro, Peter Gelb, ha reagito alle prime segnalazioni. Che non sono quelle del New York Times dello scorso dicembre, ma quelle della polizia dello Stato dell’Illinois, e risalgono ad oltre un anno fa. Gli investigatori segnalarono a Gelb che Levine avrebbe ripetutamente abusato di un liceale già negli anni ’80 del secolo passato. Ma la prima inchiesta interna si sarebbe conclusa dopo che il Maestro, interpellato a proposito, si era limitato a negare ogni addebito.
The Metropolitan Opera fired the conductor James Levine after an investigation found what the Met called credible evidence that Levine had engaged in “sexually abusive and harassing conduct” https://t.co/WfxCslew98
— The New York Times (@nytimes) 13 marzo 2018
Da dicembre in poi, però, sono aumentate le accuse e sono emersi i particolari: visite non gradite la notte nei dormitori, sfruttamento della propria posizione dominante anche da un punto di vista psicologico, ripicche e pressioni per chi si sottraeva. Tutto protratto nel tempo, per anni e anni. Alla fine il Metropolitan ha deciso per troncare ogni legame con Levine, e far calare il sipario.