Online lo si trova come #EnaZeda ed è, in ordine di tempo, l’ultima versione locale del più noto movimento #MeToo, l’hashtag nato sui social network nell’autunno di due anni fa dopo le denunce di molestie sessuali rivolte a Harvey Weinstein da diverse donne. Ena Zena è la declinazione tunisina di questo fenomeno e da alcuni giorni spopola su Twitter, dove migliaia di donne raccontano di abusi subiti, sia in forma verbale che fisica.
Il politico accusato di masturbarsi in auto
La storia di come la società tunisina ha trovato il coraggio di denunciare le molestie nasce da un uomo a bordo di un’automobile parcheggiata vicino a una scuola: meno di una settimana fa, una ragazza di 19 anni, studentessa di un liceo della città di Nabeul, nel nord-ovest del paese, pubblica sui social la foto di un uomo ritratto parzialmente nudo sulla propria macchina.
È il 10 ottobre: lei lo accusa di molestie, di essersi masturbato davanti a lei. Il fatto supera presto i confini della cronaca, sfociando in un caso politico: il presunto aggressore, infatti, è un deputato del parlamento tunisino, eletto appena quattro giorni prima alle elezioni del 6 ottobre.
Lui, Zouheir Makhlouf del partito Qalb Tounes, inizialmente cerca di difendersi spiegando di essersi spogliato per urinare – un’incontinenza dovuta al diabete – ma la versione non convince gli inquirenti, al punto da finire in tribunale il 14 ottobre. Ora è indagato per “molestie sessuali e indecenza”, secondo quanto riferito dal portavoce del tribunale.
“Non c’è una sola donna che non abbia subito molestie in vita sua”
Oltre che le ripercussioni giudiziarie (e quelle professionali, visto che il partito Qalb Tounes ha aperto un’indagine interna sull’accaduto), il caso di Makhlouf ha avuto l’effetto di scoperchiare il vaso di Pandora delle molestie in Tunisia. E così migliaia di donne si sono riversate su Twitter per raccontare gli episodi di molestie subite nel paese nordafricano, là dove otto anni fa nasceva la Primavera Araba.
#enazeda le #metoo tunisien enfin là ! pic.twitter.com/WEkFtCcuIH
— lina ben mhenni (@benmhennilina) October 12, 2019
“Non credo che vi sia una sola donna in Tunisia che non abbia vissuto un episodio di molestia” ha scritto su Facebook l’attivista Lina Ben Mhenni, condividendo poi due episodi simili a quello di Nabeul vissuti in prima persona. “Certe persone non accettano che se ne parli pubblicamente e che vengano condivise online le foto che provano la loro pochezza. A loro dico: facciamo i nomi cosicché si vergognino”, ha scritto Ben Mhenni.
E così, online, continuano a essere pubblicate decine di testimonianze ogni ora: “A 13 anni, di fronte all'uscita della scuola, un ragazzo parcheggiato mi fissò per farmi notare che si stava masturbando”, ha raccontato per esempio la giornalista Houeida Anouar.
Femmes tunisiennes, vous n’êtes pas seules. Solidarité. #EnaZeda
— Louise de Sousa (@LouiseADeSousa) October 13, 2019
La portata del fenomeno, al di là dei messaggi pubblicati su Twitter e accompagnati dall’hashtag #EnaZeda, la danno un paio in messaggi in particolare: quello dell’attuale ministro della Formazione professionale, Saida Ounissi, anche lei vittima di molestie all’età di 12 anni, e una breve frase postata dall’ambasciatrice britannica a Tunisi, Louise de Sousa: “Donne tunisine, non siete sole. Solidarietà”.
I dati: dopo il 2011 più della metà delle donne ha subito violenza
E poi i numeri, quelli del rapporto del Centro ricerche, studi, documentazione e informazioni sulle donne della Tunisia (Credif), datato 2015, in cui si legge che oltre la metà delle donne interpellate (il 53,5%) ha dichiarato di aver subito una qualche forma di violenza in spazi pubblici nei quattro anni precedenti. Una percentuale che aumenta fino a oltre il 75% se si parla di violenze sessuali subite nell’intero corso della vita, e arriva al 78% a proposito di violenze psicologiche.
Dal movimento Ena Zeda lanciato su Twitter è nato anche un omonimo gruppo su Facebook, fondato nel pomeriggio del 15 ottobre e che in meno di 24 ore ha raccolto oltre mille iscritti. A gestirlo è Aswat Nissa, una ong nata nel 2011 con l’obiettivo di portare la voce femminile in ogni strato della società. “Sogniamo una società in cui la donna sia davvero uguale all'uomo - spiega il collettivo - Libera, indipendente e responsabile: un’utopia? Forse”, ma “i cambiamenti avvengono solo grazie a sogni e utopie”.