Il nuovo grattacapo di Theresa May sembra essere Theresa May stessa. Il primo ministro britannico ha dovuto accettare le dimissioni del suo ministro dell’interno, Amber Rudd, dopo le rivelazioni sulla politica di espulsioni di massa decisa anche nei confronti di una serie di immigrati arrivati a Londra prima del 1971 – con tutte le garanzie della piena cittadinanza, mai concessa.
Un ministro dalla memoria molto corta
Il Guardian ha rivelato che la signora Rudd, nonostante stragiurasse il contrario, era a piena conoscenza del progetto di espulsioni, che queste avrebbero dovuto essere 250 la settimana, e che l’unico rimpianto era quello di non essere riuscita a raggiungere l’obiettivo: solo 220. Chi dice le bugie se ne deve andare, ed ora May si è trovata a dover rimpiazzare un ministro chiave in poche ore. Prima che lo scandalo si riveli in tutta la sua deflagrante potenzialità. Alla fine ha scelto Sajid Javid, già responsabile del dicastero per le minoranze e considerato appartenente alla destra del partito.
Perché la questione va ben oltre il futuro politico di Rudd. Scrive non a caso l’Economist che “la linea politica recentemente inaugurata dall’Home Office britannico, volta a creare un ‘ambiente ostile’ nei confronti degli immigrati clandestini, ha finito per colpire anche gli immigrati regolari”.
Ora, chi è stato a volere imporre il giro di vite? Un ministro degli esteri donna, che però non era Rudd, ma Theresa May. Proprio lei, che si manteneva informata dei progressi della politica restrittiva nei confronti dei migranti tramite le lettere che le inviava Rudd. Adesso il premier sembra intenzionato a fare molto presto, nella scelta del nuovo titolare dell’Home Office: il suo gabinetto, che a Westminster si regge unicamente grazie all’apporto (subito più che accettato) degli unionisti nordirlandesi, non può permettersi né scossoni, né lunghi periodi di incertezza.
Ma il problema è sempre la Brexit
Solo che, inevitabilmente, la questione va ad incrociarsi con quella, ancora più delicata se possibile, della Brexit. Nel senso che Rudd è stata, finora, uno degli esponenti del partito conservatore più schierati in favore della permanenza britannica nell’unione doganale prevista dalla Soft Brexit. Una sorta di colomba, o almeno non una sostenitrice dell’Hard Brexit che piacerebbe al ministro degli esteri Boris Johnson.
Negli ultimi giorni, come dimostra anche la prontezza di Francia e Germania a far fronte comune con Londra sui dazi e sulla questione iraniana, i segnali di una sorta di riavvicinamento a Bruxelles non sono mancati. Il nuovo corso sarebbe stato senz’altro aiutato dalla nomina di un ministro vicino alle posizioni del Remain. Ma non tutti, nel partito conservatore, sarebbero contenti. E Theresa May, che ha scelto per un esponente dell'ala ultraconservatrice, rischia di restare imbrigliata nella rete che lei stessa preparò, un governo fa, per intercettare gli immigrati.