Mentre si appresta a lasciare, nel marzo del prossimo anno, l'Unione Europea, la Gran Bretagna chiede comunque di stipulare con i Ventisette un nuovo trattato di sicurezza. Lo ha chiesto "con urgenza" la premier britannica, Theresa May, avvertendo che una rottura dell'attuale cooperazione avrebbe "conseguenze dannose" per i cittadini europei (ed è inevitabile pensare che il riferimento sia agli attentati che hanno scosso l'Europa dal 2014 ad oggi).
"Non è un momento in cui possiamo permettere che la nostra cooperazione sia inibita e la sicurezza dei nostri cittadini sia messa in pericolo dalla concorrenza tra partner, dalle rigidità istituzionali e da ideologie ben radicate", ha affermato l'inquilina di Downing Street intervenendo alla conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera.
"Dobbiamo fare ciò che è più utile e farlo nel modo più pragmatico per garantire la nostra sicurezza collettiva. Non dobbiamo aspettare quando non c'è bisogno", ha detto, osservando che "gli aspetti chiave" della futura partnership in questo settore si potrebbero vedere già dal 2019.
Le richieste di Londra
L'accordo tra Londra e Ue dovrebbe mantenere l'attuale cooperazione in materia di sicurezza, preservando le capacità sviluppate negli ultimi anni. Tre i "requisiti" indicati dalla May: il rispetto della sovranità giuridica, un meccanismo di risoluzione delle controversie (la Gran Bretagna riconoscerebbe la Corte di giustizia dell'Ue, che però non avrebbe giurisdizione nel Regno Unito) e il riconoscimento di standard diversi nella protezione dei dati.
May ha esortato l'Unione europea ad avviare i negoziati "con urgenza", "ambizione" e "creativita'", per realizzare "un trattato per la sicurezza di tutti gli europei". La premier ha manifestato l'interesse britannico a partecipare anche a progetti che possono ricevere finanziamenti dal Fondo europeo di difesa (che prevede di iniettare ingenti somme di denaro pubblico per iniziative dell'industria delle armi) e ad avere voce in capitolo nelle questioni in cui si avanzi in stretta cooperazione, come operazioni militari congiunte all'estero o l'imposizione di sanzioni. Tra gli attuali meccanismi di cooperazione in materia di sicurezza e giustizia, la May ha menzionato gli ordini di estradizione europei e lo scambio di informazioni attraverso Europol.
Juncker apre. Ma a una condizione
Il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, ha aperto, sottolineando però che non si devono mescolare "i negoziati sull'uscita del Regno Unito dall'Ue con quelli su un possibile nuovo trattato bilaterale". "Ritengo - ha spiegato Juncker - che poiché non siamo in guerra con il popolo britannico, né ci vogliamo vendicare per la decisione presa in modo sovrano, l'alleanza sulla sicurezza possa andare avanti. Ma tutto ciò non va confuso con altre questioni".
Juncker ha sottolineato: "Si devono valutare le cose punto per punto e non mi piacerebbe che valutazioni sulla sicurezza finiscano sullo stesso tavolo di quelle commerciali, come vorrebbero alcuni". Il ministro degli Esteri spagnolo, Alfonso Dastis, ha detto di comprendere l'interesse britannico, ma è apparso scettico sul grado di coinvolgimento che il Regno Unito può svolgere nell'integrazione in Difesa e Sicurezza che sta avviando l'Ue dopo la firma, lo scorso anno, dell'Accordo di cooperazione permanente rafforzata (Pesco).
Più in generale, Juncker ha poi suggerito che le scelte dell'Ue in politica estera possano prendersi a maggioranza qualificata in futuro, e non per consenso come accade finora: ha ricordato come la ricerca del consenso impedisca all'Ue di prendere decisioni su molte questioni internazionali e ha invitato a "semplificare" i processi decisionali in modo da garantire "efficacia e capacità di azione". "Ora non siamo in grado di agire in politica estera", ha sottolineato, ricordando come l'inazione ha toccato questioni chiave anche come l'imposizione o il mantenimento di sanzioni. Per cambiare lo status quo, non bisogna cambiare i trattati, che sarebbe complicato, ma semplicemente applicare l'articolo 31,3 del Trattato di Lisbona, il quale stabilisce che il Consiglio europeo può decidere quali questioni trattare all'unanimitaàe quali a maggioranza qualificata.