Doveva essere una banale operazione nell’ambito di due inchieste della procura di Parigi a carico di ‘La France Insoumise’, ma si è trasformata in uno show ripreso dallo stesso leader della sinistra radicale, Jean-Luc Mélenchon, durante la perquisizione della polizia a casa e nella sede del suo partito, seconda forza di opposizione. E il Paese si divide.
“Nessuno mi tocchi. Non avete il diritto di toccarmi. La mia persona è sacra. Sono un parlamentare. Sono Mélenchon. Potete invadere la mia casa, le sedi del mio partito, ma io non ho paura di nessuno”. Nella diretta Facebook condivisa migliaia di volte, Mélenchon si è messo in scena – facendosi passare attorno al collo la fascia tricolore – riprendendo e commentando la perquisizione in corso al proprio domicilio. Agenti di polizia che si spostano da una stanza all’altra dell’appartamento, rovistano nei mobili, in cerca di elementi di prova nell’ambito di due inchieste preliminari parallele aperte dalla procura di Parigi a carico del suo partito, ‘La France Insoumise’ (LFI), sull’uso di fondi europei per impieghi fittizi all’Europarlamento e su finanziamenti illeciti alla campagna per le presidenziali del 2017.
"È polizia politica, ci vogliono infangare"
“Non ci meritiamo tale dispiegamento di forze. Alcuni agenti sono pure armati. Sembra che debbano arrestare una gang pericolosa. Hanno forse paura di ricevere da me un colpo di mestolo? Hanno frugato nel mio cellulare e nel mio pc, spero non mi abbiate inviato lettere d’amore. È una persecuzione che dura da mesi. Le insinuazioni della stampa che getta benzina sul fuoco. Ora scrivete che si tratta di un atto politico, di una operazione di polizia politica” continua con un tono tra l’ironico e l’arrabbiato il leader della sinistra radicale, terzo candidato più votato alle presidenziali del 2017, ottenendo 19,58% dei voti (circa 7 milioni di elettori), ora oppositore più popolare, che gode del 31% dei consensi, mentre il presidente Macron sta al 25% e la Le Pen al 20%.
La scena si ripete poi davanti alla sede del suo movimento in rue Dunkerque, a Parigi, nei pressi di gare du Nord, in un altro video girato da Rachid Laïreche, giornalista di ‘Libération’. “La République c’est moi!” urla Mélenchon, infuriato con gli agenti di polizia che stanno procedendo alla perquisizione, prendendosela con un poliziotto che fa la guardia all’entrata e bloccando la strada ad un ufficiale giudiziario. “Con che autorità mi impedite di entrare negli uffici del mio partito! Non siamo teppisti né banditi. Siete la polizia repubblicana o una banda? Sfondate la porta, compagni!” sbotta il focoso Mélenchon, circondato da altri parlamentari di ‘La France Insoumise’ che indossano la fascia tricolore e gridano in coro “Résistance”. Quando riesce ad entrare nel quartier generale da un altro ingresso, finisce in rissa e Mélenchon, che ha ormai perso le staffe, spintona il magistrato presente alla perquisizione. “Ci vogliono infangare. Il Signor Macron è un piccolo personaggio e la sua banda di ministri è della stessa stoffa. Non è possibile impedire a dei parlamentari di entrare nei propri locali. Non siamo più in uno stato democratico. Macron, ça suffit!” continua il deputato eletto lo scorso anno nella circoscrizione delle Bouches du Rhone (sud), noto ammiratore di Chavez.
Si indaga anche per resistenza a pubblico ufficiale
Poche ore dopo Mélenchon porta avanti la sua protesta rabbiosa nell’emiciclo, davanti al premier Edouard Philippe, che ha difeso i magistrati, dicendosi “scioccato per la grande violenza” del capofila di opposizione. “Non credo abbiamo nulla da guadagnare nel rimettere in causa l’indipendenza della giustizia” ha commentato Philippe, mentre il neo ministro dell’Interno Christophe Castaner ha condannato con fermezza le violenze. Il ministro della Giustizia Nicole Belloubet ha denunciato “scene inaccettabili”, assicurando che le perquisizioni si sono svolte “in una cornice legale, su richiesta della procura di Parigi e sotto stretto controllo del giudice delle libertà e della detenzione, che l’ha autorizzata”. La reazione infuriata di Mélenchon ha aggravato la situazione: la procura ha aperto un fascicolo per “resistenza a pubblico ufficiale” mentre quattro esponenti di LFI, rimasti feriti nelle altercazioni con i poliziotti, con tanto di certificato da pronto soccorso, hanno sporto denuncia.
Giovedì Mélenchon è stato sentito dai magistrati anticorruzione, durante un’audizione libera svoltasi a Nanterre, nella sede dell’Ufficio centrale di lotta alla corruzione e ai reati finanziari (Oclciff). Il tono del leader ribelle non cambia e denuncia l’esistenza di “una giustizia a due velocità”. “C’è un’escalation giudiziaria per farci paura, intimidirci. Ho visto che Castaner mi ha suggerito di rispondere alle domande che mi vengono poste. Anche lui dovrebbe farlo” ha detto Mélenchon prima dell’interrogatorio, chiedendo lo stesso trattamento per il partito presidenziale ‘La République en Marche’, “la cui sede ha in dotazione uno stock di armi”. In tutto una ventina di membri di LFI vengono interpellati dalla stessa istituzione anticorruzione. All’uscita dell’audizione, con tono trionfale, Mélenchon ha assicurato che “la manovra del Signor Macron è fallita”. Si è dichiarato disponibile a far esaminare i conti del partito e assicura di aver reso pubbliche tutte le fatture relative alla campagna presidenziale 2017, che sono state approvate da un’apposita commissione.
La solidarietà di Le Pen
Da Bruxelles il presidente ha risposto all’oppositore, sostenendo che non ci possono essere “eccezioni” nell’esercizio della giustizia. Del resto indagini su fittizi assistenti parlamentari Ue sono in corso a carico del ‘Raggruppamento nazionale’ (ex Fronte nazionale) della leader di estrema destra Marine Le Pen e del Movimento democratico (MoDem) del centrista François Bayrou. Secondo la procura di Parigi, i finanziamenti destinati alle attività dei gruppi parlamentari a Bruxelles sarebbero stati usati per pagare gli staff dei partiti in Francia. Quasi a sorpresa, in parlamento Mélenchon ha ottenuto massima solidarietà dalla Le Pen – che ha più volte denunciato una “giustizia politica”, senza però andare oltre – e da altri deputati di estrema destra, con un lungo applauso al suo intervento. Per giunta il mese scorso un tribunale francese ha ordinato che Marine Le Pen si sottoponga a una perizia psichiatrica nell’ambito di un’indagine in cui è accusata di aver diffuso nel 2015 immagini delle esecuzioni commesse dallo Stato Islamico. Le Pen non intende collaborare, spiegando che tutta questa situazione è “allucinante”.
In Francia, da qualche mese il clima politico si sta elettrizzando e i prossimi mesi si preannunciano altrettanto caldi, in vista delle elezioni europee di maggio 2019. A farne le spese non sono soltanto i principali oppositori. L’Eliseo è finito nella bufera durante l’estate per il caso di Alexandre Benalla, fedelissimo collaboratore del presidente Macron dai troppi poteri, coinvolto nella violenta repressione delle proteste dello scorso 1° maggio. Sono poi seguite dimissioni a cascate nel governo Philippe, che ha perso ministri popolari e cruciali, costringendo Macron a procedere al terzo rimpasto dal suo insediamento. Un passaggio sofferto durato quasi due settimane, accompagnato da molte critiche e perplessità. Sulla carta l’esecutivo “Philippe III” dovrebbe dare nuovo slancio al mandato di Macron, ma per ora sei francesi su dieci non sono soddisfatti e per il 53% l’assegnazione del ministero dell’Interno a Castaner non è la scelta giusta.