In Libia, nella lotta tra il premier, Fayez al-Serraj, e il maresciallo Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica, c'è un complesso intreccio di alleanze e attori. Fra tribù, milizie e interessi stranieri, lo scacchiere libico non è mai stato semplice. E si è complicato ancora di più da quando il vento della Primavera araba ha spazzato via, nel 2011, il regime del colonnello Muammar Gheddafi.
La situazione nel Paese
A ovest, nella Tripolitania, l'autorità è stata affidata al fragile governo di accordo nazionale, voluto dall'Onu con l'intesa di Skhirat e sostenuto, almeno sulla carta, dalla comunità internazionale, sotto il comando dell'ex ingegnere civile Fayez al-Serraj.
Dall'altra parte, nella Cirenaica, a est, ha sempre comandato il maresciallo Khalifa Haftar, che con il suo Esercito nazionale libico fece la guerra a Gheddafi, del quale era stato comandante della forza armata, e agli islamisti.
Ogni tentativo di unire il Paese con la diplomazia finora è franato. A poco sono servite la Conferenza di Palermo del novembre scorso e il successivo summit di Dubai del 27 febbraio dove i due principali contendenti si erano promessi di lavorare per elezioni nazionali che potessero dare al Paese una guida legittima.
Chi sostiene Haftar
Dal 4 luglio l'uomo forte della Cirenaica ha deciso di preferire le bombe alle urne, e ha lanciato la sua offensiva su Tripoli. La mossa di Haftar, che si traduce in una campagna anti Fratelli musulmani (punto di riferimento per il governo di Tripoli), è sostenuta da Riad, Abu Dhabi e Il Cairo, che lo sostengono a vari livelli, sul campo di battaglia, a livello finanziario e diplomatico.
Sul fronte internazionale, principale sponsor di Haftar - mai riconosciuto ufficialmente - è Parigi che ha sempre ritenuto il maresciallo una garanzia per i propri interessi sul campo. Washington, che per due decenni ha offerto asilo all'ex capo di stato maggiore di Gheddafi, preferisce mantenere le distanze per evitare eccessivo protagonismo nell'area. Cosi' come la Russia che, dopo aver sostenuto Haftar, in pubblico parla di equidistanza tra le parti.
Chi sostiene Serraj
Serraj può godere invece del sostegno, diplomatico, dell'Onu e dell'Italia; sul piano militare i suoi principali alleati sono Turchia e Qatar.
Le forze in campo in Libia
Sul terreno, combattono i 15 mila miliziani di Misurata, che da sempre proteggono la capitale; al loro fianco (sono 300 le milizie attive nel Paese), altri combattenti delle forze di Zintan, la Rada Special Force, e la brigata Nawasi. In questo scenario, si inserisce anche la presenza poco pubblicizzata, se non addirittura segreta, di truppe straniere, dislocate in base agli interessi geostrategici dei principali attori internazionali.
Sull'esteso territorio di un milione e 700 mila chilometri quadrati, che per 42 anni era stato controllato da Gheddafi, ci sono militari di Italia (in Tripolitania), Francia (in Cirenaica), Stati Uniti e Regno Unito (a Sirte e nel sud).
L'Italia è presente ufficialmente con la missione Miasit di assistenza e supporto al governo di Serraj; prevede un impiego massimo di 400 militari, 130 mezzi terrestri e mezzi navali e aerei (questi ultimi nell'ambito delle unità del dispositivo aeronavale nazionale Mare Sicuro). Miasit sostituisce e rafforza la vecchia missione Ippocrate (300 uomini e 103 mezzi) che ha permesso la realizzazione di un ospedale militare da campo a Misurata da 30 posti letto.
I militari italiani sono impegnati anche nell'addestramento delle forze locali. Una presenza discussa è quella delle forze speciali francesi, un "segreto di Pulcinella", lo hanno più volte definito i giornali parigini. L'ammissione da parte del governo della presenza di suoi militari sul suolo libico è arrivata nel luglio 2016, in seguito all'abbattimento di un elicottero dell'esercito del generale Haftar, a bordo del quale si trovavano tre membri dei corpi speciali francesi.
"Le forze speciali ci sono per contribuire a garantire che la Francia sia presente ovunque nella lotta contro i terroristi", aveva dovuto confermare Stephane Le Foll, allora portavoce del governo del premier Manuel Valls con presidente Francois Hollande. Le mire del presidente Emmanuel Macron, che ha convocato in due occasioni Serraj e Haftar a Parigi, puntano a tutelare gli interessi economici della Francia nel Paese ( a cominciare da quelli energetici della Total), a soffocare i gruppi jihadisti che operano nei vicini Ciad, Niger e Mali, ma anche a fermare il transito dei migranti che fuggono verso l'Europa.