Il tutorato maschile obbligatorio per le donne
Nel Regno wahabita, infatti, le donne sono soggette a un rigidissimo sistema sociale, sotto il controllo di un guardiano di sesso maschile - che sia il padre, il marito, un fratello o addirittura un figlio – da quando nascono a quando muoiono, senza soluzione di continuità. Sono i tutori che devono autorizzarle per tutta una serie di attività:
- richiedere il passaporto
- viaggiare
- sposarsi
- lavorare
- accedere ai servizi sanitari
- studiare all’estero
- uscire di prigione.
Le speranze degli attivisti (e i timori dei critici)
Il decreto "non è vago, è molto forte: se la legge non dice altrimenti, possiamo chiedere" l'accesso a quel servizio, ha commentato Sahar Nasief, un'attivista di Gedda che si batte per la fine del tutorato maschile sulle donne. Spesso, infatti, le richieste arbitrarie del permesso maschile sono frutto di usanze locali più che di dettami religiosi. La cautela, tuttavia, non è mai troppa e "la speranza è che funzioni e non resti lettera morta". "L'obiettivo - ha ricordato Nasief - è l'uguaglianza".
Non tutti però condividono lo stesso spirito: per i critici, si tratta solo di un annuncio per distogliere l'attenzione dalle violazioni subite dalle donne e dagli scandali, senza cambiare realmente la situazione. E' un decreto "senza meccanismi di applicazione e nessuna reale ripercussione in caso di inadempienza", ha sottolineato Ebtihal Mubarak, un giornalista saudita di stanza a New York, convinto che sia "un imbroglio".L’onere per le imprese di organizzare il trasporto per le impiegate
Tra le novità introdotte, anche l’onere per i datori di lavoro di organizzare un sistema di trasporto rivolto alle proprie impiegate per raggiungere l'ufficio. L'Arabia Saudita è l'unico Paese al mondo dove a tutt'oggi le donne non possono condurre un automobile, pena l'arresto. Un divieto che negli ultimi anni è stato più volte sfidato da attiviste, subendo fermi e in alcuni casi la prigione.
Le rigide convenzioni sociali insieme alla difficoltà di raggiungere l’ufficio – senza poter utilizzare un mezzo proprio e con la scarsità di trasporti pubblici – sono state tra le cause che finora hanno limitato fortemente la partecipazione femminile al mercato del lavoro. Una visione fortemente tradizionalista che si scontra ormai non solo con le legittime aspirazioni femminili ma anche con le sfide e necessità che il Paese incontra.
Il tweet del principe Alwaleed contro il divieto di guidare
Il calo del prezzo del petrolio, con il conseguente effetto sulle rendite statali, richiede una partecipazione sempre più attiva di fasce più ampie della popolazione, donne comprese. Va in questa direzione l’appello lanciato nel novembre scorso dal principe saudita Alwaleed Bin Talal che con un tweet aveva intimato: "Basta discuterne, è arrivato il momento per le donne di guidare".
Stop the debate
— Alwaleed Bin Talal (@PrinceAlwaleed1) 30 novembre 2016
It's time for women to drive.https://t.co/svGLeOsT6B
Un’uscita singolare arrivata però da una voce nota alle attiviste per i diritti umani. Il miliardario, infatti, è un noto filantropo, da anni schierato per un avanzamento delle donne nella società. Fra gli innumerevoli nipoti di Ibn Saud, fondatore del Regno wahabita, non ricopre incarichi istituzionali ma presiede la Kingdom Holding Co, società quotata per 18 miliardi di dollari in borsa nel 2013, con investimenti in diversi settori, dalla tecnologia all'immobiliare, fino all'agricoltura e al petrolchimico.
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L’impatto dell’esclusione femminile sull’economia saudita
Per spiegare la sua posizione, Alwaleed Bin Talal, indicava esplicitamente motivazioni economiche, sottolineando lo spreco di tempo, denaro e forza lavoro che questa esclusione di fatto comporta per il Regno. In un lungo scritto, apparso sul suo sito, il principe sottolineava come impedire alle donne di guidare oggi "oltre a riguardare i diritti, è un tema economico, sociale e di sviluppo": le statistiche del 2015 indicano, infatti, che sono quasi 1,6 milioni le donne saudite che lavorano. L'impossibilità di giungere al luogo di lavoro con un proprio mezzo, costringendole invece ad affidarsi a scarsi trasporti pubblici, taxi o autisti stranieri, pone seri problemi allo sviluppo economico del Paese. Senza contare che per questioni di salute, un ricovero in ospedale o visite specialistiche, sono i parenti maschi a dover prendere un permesso dal lavoro per accompagnare mogli e figli. "Questa situazione - concludeva con forza il principe - ha un costo per l'economia nazionale, minando la produttività della forza lavoro".
La diversificazione dell’economia e il Piano Vision 2030
Nell’aprile del 2016, il 31enne vice principe ereditario Mohammed bin Salman ha presentato il piano Vision 2030 per una diversificazione dell'economia e un più ampio ingresso nel mondo del lavoro dei sauditi, donne comprese. Il principe, che è considerato di vedute liberali, in quell’occasione aveva sottolineato come "la società (saudita) finora non si è persuasa" della necessità di modificare la situazione esistente, lasciando però a questa la decisione.
D’altra parte, c’è chi spera che questo nuovo decreto vada nella direzione di un progressivo allentamento delle limitazioni e che posso addirittura portare a un abolizione del divieto di guidare. I critici, invece, hanno sottolineato come le novità introdotte non vadano a toccare i nodi cruciali, lasciando comunque in vigore il sistema di tutorato maschile.
Negli ultimi mesi ha fatto notizia l’arrivo di alcune donne a capo di istituzioni chiave saudite. Tra queste, Sarah al-Suhaimi, nominata alla guida della Borsa di Riad (Tadawul) che, con un mercato azionario da 439 miliardi di dollari, è la seconda a livello regionale e la 21esima al mondo.
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Un'altra nomina eccellente è stata quella di Rania Mahmoud Nashar come nuovo amministratore delegato del Samba Financial Group.
Allo stesso tempo, però, quando a marzo è stato inaugurato il Consiglio per gli Affari femminili della provincia di Qassim, il primo nella storia del Paese, si è assistito a uno spettacolo quanto meno bizzarro, con 13 esponenti del Consiglio sul palco, tutti uomini, nessuna donna, e una delegazione femminile collegata in videoconferenza da una stanza accanto.
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