La cautela ha preso il posto dell'ottimismo sbandierato nei giorni scorsi tra le forze di sicurezza e l’esercito che setacciano l’area dove pensano si trovi Silvia Romano, rapita in Kenya otto giorni fa.
Il cerchio - dicono - continua a stringersi e se la certezza di una soluzione della vicenda in tempi brevi non si allontana, nemmeno si avvicina. Occorre lavorare perché la giovane volontaria e il commando che la tiene ostaggio non si avvicinino troppo al confine somalo.
L’area nella quale gli investigatori ritengono si trovi Silvia è quella di Garsen, 250 chilometri dal confine somalo. Per arrivare nella foresta di Boni, nella contea di Lamu, rinomata per essere il rifugio di molti miliziani del gruppo terrorista somalo Al Shabab, il passo è breve.
Il lavoro per sigillare le vie che portano alla Somalia, dunque, potrebbe essere stato vano. Gli inquirenti non lo dicono, anzi lo negano, ma con molta probabilità è in corso una trattativa con i rapitori. Nessuno parla di riscatto o di trattative in tal senso, ma pare improbabile che anche questa strada non venga percorsa dagli inquirenti.
Il commando che ha rapito Silvia, ormai questo pare essere sicuro, è composto da banditi comuni, non per questo non meno pericolosi, e non da terroristi. Secondo le testimonianze raccolte sul campo dagli inquirenti e da molti giornalisti, i banditi pensavano di arrivare a una soluzione lampo: soldi subito. Ma così non è stato. La richiesta sarebbe stata fatta, addirittura, proprio alla giovane cooperante nell’immediatezza del sequestro. Ma la domanda è: come potevano pensare, i sequestratori, che la ragazza avesse la possibilità di pagare il riscatto? Ciò, inoltre, dimostra l’improvvisazione dei sequestratori e la mancanza di una vera pianificazione e organizzazione del sequestro.
“Presto libereremo Silvia” sostiene il comandante del campo dell’esercito keniano a Garsen, Il tenente Meragay, come scrive oggi l’inviata di Repubblica. A Meragay fanno capo le ricerche, portate avanti da 250 tra poliziotti, forze speciali e esercito.
Il comandante regionale della Polizia, Bernard Leparmarai, sostiene che ora si sta lavorando proprio per impedire ai rapitori della giovane di raggiunge Boni Forest. Il comandante spiega, inoltre, che i rapitori “non sono di etnia Orma, ma Wardei”, sempre secondo quanto riporta Repubblica. “Sono criminali comuni – continua il comandante – che non hanno a che vedere con il loro clan, ma sono sostenuti da pochi abitanti delle terre che attraversano. Per questo siamo in contatto con gli anziani delle tribù. Per avere la loro collaborazione”.
Le prove dell’aiuto che starebbero ricevendo i rapinatori sono molte. Per sopravvivere hanno bisogno di cibo e acqua e dalle tracce lasciate gli inquirenti sono certi che altri li stiano aiutando a sposarsi. Un aiuto fondamentale, ma a quale prezzo?