Un giorno, forse, si saprà la verità sulla fine di Jamal Khashoggi. Si saprà come è morto, chi lo ha ucciso, chi ha voluto la sua eliminazione eforse addirittura il perché. Ma ciò che forse è destinato a restare per sempre un mistero è chi fosse davvero Jamal Khashoggi. Un martire della libertà o una vittima delle sue stesse contraddizioni? Su di lui si è detto e scritto di tutto, sia da parte di chi vuole farne un'icona della lotta del mondo arabo per l'emancipazione dalle dittature, sia da chi mette in guardia nei confronti dei suoi numerosi voltafaccia. Oltre che delle amicizie discutibili, prima fra tutte quella con Osama bin Laden. Ma anche con la famiglia al-Saud il cui delfino, Mohammed bin Salman, è oggi il sospettato numero uno per la morte del 60enne giornalista dissidente.
Già, dissidente. Ma nei confronti di chi e di cosa? Della famiglia reale di cui è stato un protetto fino a quando non è diventato la voce più critica del governo ultra-conservatore? O del fallimento della primavera araba, su cui ha scritto proprio prima di sparire, appena varcata la soglia del consolato saudita a Istanbul?
"Il mondo arabo sta affrontando la sua versione di una cortina di ferro, imposta non da attori esterni ma attraverso forze interne in lizza per il potere. Dobbiamo fornire una piattaforma per le voci arabe", sosteneva nell'ultimo editoriale sul Washington Post in cui chiedeva una maggiore libertà di stampa nel mondo arabo. Probabilmente uno dei motivi che gli sono costati la vita, ma certamente non l'unico. E per tentare di capire le sue molte contraddizione può essere utile ripercorrere gli anni che lo hanno portato da essere un fedele suddito della corona saudita a un nemico da eliminare. "Ucciso in una colluttazione" il 2 ottobre, è la versione ufficiale fornita da Riad. "Fatto a pezzi mentre era ancora vivo", hanno fatto sapere invece gli inquirenti turchi.
Da dove veniva Khashoggi
Khashoggi proveniva da un'importante famiglia saudita con origini turche. Suo nonno, Mohammed Khashoggi, era il medico personale del fondatore dell'Arabia Saudita, il re Abdul Aziz al-Saud. Suo zio era il famigerato trafficante d'armi Adnan Khashoggi.
Nato a Medina, la seconda cità santa dell'Arabia Saudita, il 13 ottobre 1958, Khashoggi passa la giovinezza a studiare l'ideologia islamica e ad abbracciare idee liberali. Sostenitore della famiglia reale saudita, dopo la laurea all'Indiana State University nel 1982, inizia a lavorare per quotidiani sauditi, tra cui la Saudi Gazette e Al-Sharq al-Awsat.
Mentre è inviato per coprire il conflitto in Afghanistan, viene ampiamente diffusa l'immagine di un giovane Khashoggi con un fucile d'assalto e con abiti afghani. Non combatte, ma simpatizza con i mujaheddin nella guerra degli anni '80 contro l'occupazione sovietica, finanziata dai sauditi e dalla Cia.
Le amicizie pericolose
Attratto dalle politiche della Fratellanza musulmana che cercano di cancellare i resti del colonialismo occidentale dal mondo arabo, condivide questa visione con un giovane saudita di nome Osama bin Laden, fondatore poi di al Qaeda, responsabile degli attacchi dell'11 settembre 2001. Da giovane giornalista, Khashoggi lo intervista diverse volte, guadagnandosi l'attenzione internazionale. Ma più tardi, negli anni '90, ne prende le distanze perché non condivide la sua esaltazione dell'uso della violenza contro l'Occidente.
Le autorità saudite arrivano a considerarlo troppo progressista ed è costretto a dimettersi da redattore capo del quotidiano saudita Al-Watan nel 2003, dopo averci lavorato per soli 54 giorni. Nel corso degli anni mantiene legami ambigui con le autorità saudite: ricopre posizioni consultive a Riad e Washington, anche per il principe Turki al-Faisal che gestisce l'agenzia di intelligence saudita per oltre 20 anni. Quando Faisal viene nominato ambasciatore a Washington nel 2005, Khashoggi va con lui. Nel 2007, Khashoggi torna al giornale di Al-Watan e ci restan quasi tre anni, prima di essere licenziato a causa del "suo stile editoriale, che spinge i confini della discussione e del dibattito all'interno della società saudita", secondo quanto scriveva Khashoggi nel suo sito.
Molti amici trasformati in menici
Si avvicina al miliardario saudita Al-Waleed bin Talal e insieme lancia a Manama 'al-Arab', una rete all news. Tuttavia, il Bahrein - un fedele alleato saudita - chiude l'emittente nel 2015, meno di 24 ore dopo aver trasmesso un'intervista a un funzionario dell'opposizione. Khashoggi fugge dall'Arabia Saudita nel settembre 2017, pochi mesi dopo che il principe Mohammed viene nominato erede del trono più potente della regione.
Due mesi dopo, il principe Al-Waleed e centinaia di funzionari e uomini d'affari vengono arrestati in quella che i sauditi definiscono una campagna anti-corruzione. In un articolo pubblicato sul Washington Post l'anno scorso, Khashoggi dichiara che sotto il principe Mohammed, il governatore de facto del regno, l'Arabia Saudita sta entrando in una nuova era di "paura, intimidazioni, arresti e vergogna pubblica". Dice che gli è vietato scrivere sul quotidiano pan-arabo Al-Hayat per aver difeso la Fratellanza musulmana che Riad ha inserito nella lista nera come organizzazione terroristica.
Denuncia inoltre che le autorità saudite gli vietano di usare il suo account Twitter verificato dopo aver dichiarato che il Paese deve essere "giustamente teso per una presidenza Trump". Khashoggi, che avrebbe dovuto sposare la sua fidanzata turca Hatice Cengiz questo mese, aveva anche criticato il ruolo dell'Arabia Saudita nel conflitto dello Yemen e si era opposto a un boicottaggio del Qatar guidato da Riad. "Per il suo programma di riforma interno, il principe ereditario merita un elogio ma, allo stesso tempo, il giovane innovatore non ha incoraggiato o permesso alcun dibattito popolare in Arabia Saudita sulla natura dei suoi numerosi cambiamenti", scriveva Khashoggi sul Guardian a marzo.