Dazi fino al 35% su merci fondamentali del nostro export verso il Regno Unito, l'allungamento dei tempi di sdoganamento, che risulterebbe cruciale per alcuni prodotti freschi. Sono alcune delle conseguenze che dovrebbe fronteggiare l'Italia, come il resto d'Europa, nel caso il 31 ottobre si realizzasse una Brexit senza accordo (no-deal).
La Brexit pone sfide differenti per i diversi comparti dell'export italiano in relazione al peso che il mercato britannico assume in ciascun settore e al rischio legato all'introduzione di dazi e tariffe nel caso di un'uscita del Regno Unito senza accordo. I più a rischio, fa notare un rapporto del Centro Studi di Confindustria, sono l'agroalimentare e quello di vini e bevande alcoliche.
Dal 2012 al 2017, il mercato britannico ha rappresentato per il nostro export agrifood una quota media annua del 7,8%. Col no-deal, almeno per un periodo e per determinate categorie di prodotto, si potrebbe finire per utilizzare le regole tariffarie dell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto), che per prodotti come i latticini arrivano al 35%. Senza contare la difficoltà di esportare prodotti freschi, che non possono permettersi le lunghe attese previste alla dogana.
A rischio soprattutto gli alcolici
Il comparto di vini e bevande alcoliche è quello che potrebbe risentire maggiormente: il Regno Unito attrae il 12,2% dell'export italiano complessivo da questo settore, pari a 1,1 miliardi di dollari correnti nel 2017; inoltre, se si applicassero i regolamenti tariffari tra Ue e resto del mondo, le bevande sarebbero tra i beni sottoposti a barriere tariffarie più elevate, fino al 32%. Vuol dire che il prosecco, molto popolare Oltremanica, diventerebbe costoso e potrebbe essere sostituito da mercati come Usa o Sud America.
Altro problema che potrebbe insorgere è quello degli standard. Le multinazionali che hanno scelto la Gran Bretagna come base logistica o che hanno delle attività sul territorio britannico e sono parte di catene del valore distribuite su base europea e potrebbero dover rivedere alcune scelte organizzative per adattarsi al mutato contesto. Negli ambienti del business italiano si dà per assunto che Londra approvi una serie di 'leggi ombra' per stare al passo con l'Europa, ma non è scontato. Potrebbe, invece, scegliere di legarsi di più agli Usa, come mercato di riferimento.
Dal punto di vista doganale, le piccole imprese, abituate a esportare solo in Europa, dovranno affrontare pratiche come le bolle doganali, che dopo una Brexit no-deal torneranno necessarie. Non è escluso, comunque, che Johnson decida di mantenere le frontiere aperte per un periodo di transizione, come aveva ipotizzato la ex primo ministro Theresa May.
Che succede agli espatriati?
Per i diritti acquisiti dai cittadini Ue residenti nel Regno, il rischio di una Brexit no-deal è legato al fatto che si annulla il periodo transitorio di circa due anni, previsto dall'accordo raggiunto dall'ex premier britannica Theresa May e che dava tempo ai meno informati di regolarizzarsi, ottenendo il cosiddetto "settled status", la residenza permanente. Londra ha promesso di salvaguardare i diritti dei cittadini Ue (3,5 milioni, di cui si stima gli italiani siano 700 mila, tra registrati aire e no), ma la differenza è che mentre con il periodo transitorio questi diritti sarebbero potuti essere difesi in sede di tribunali europei, con il no-deal saranno solo i tribunali britannici avere la possibilità di risolvere eventuali conflitti sul piano giuridico.
L'Italia, nel frattempo, ha rafforzato la sua rete consolare nel Regno Unito con l'assunzione di nuovo personale e il potenziamento delle sedi che stanno registrando un aumento di richieste di iscrizione al registro Aire, necessaria per regolarizzarsi e usufruire cosi' della salvaguardia dei diritti acquisiti.
Uno degli aspetti su cui regna ancora incertezza in vista di una probabile Brexit no-deal è cosa succedera' se un cittadino Ue vorrà recarsi in Gran Bretagna, dopo il 31 ottobre. In teoria, finirà la libertà di circolazione e Londra applicherà anche ai membri Ue le leggi che regolano l'immigrazione da Paesi terzi, ma deve essere trovato un sistema che garantisca la reciprocità. A meno che non si concordi in tempi brevi con Bruxelles un sistema di mutua esenzione dai visti.