"Le notizie arrivate oggi hanno reso necessaria una discussione tra il presidente (il cristiano maronita, ndr) Michel Aoun, il premier (sunnita, ndr) Saad Hariri e lo speaker del Parlamento, (lo sciita, ndr) Nabih Berri. Sulla base degli sviluppi di queste ore, si prenderanno delle decisioni. Finora, il territorio libanese non è coinvolto. Tuttavia, questa volta, sembra che la situazione sia diversa rispetto agli usuali scontri (tra Israele e Siria, ndr). C'è un jet israeliano abbattuto, e ci sono le minacce di Israele (verso il Libano, ndr)".
Queste le parole, riportate dal quotidiano libanese Daily Star, da una fonte interna alla presidenza della Repubblica libanese, in merito all'incontro urgente avvenuto in tarda mattinata tra le tre più importanti cariche istituzionali del Paese dei Cedri. Il vertice tra le tre più alte cariche ufficiali dello Stato, è avvenuto perché alle prime ore dell'alba un aereo israeliano è stato abbattuto dai sistemi di difesa siriani - con alcuni frammenti di missile caduti nel villaggio libanese di Kaoukaba - dopo aver bombardato 12 obiettivi militari in Siria, violando lo spazio aereo libanese.
Un portavoce dell'Esercito israeliano, Jonathan Conricus, ha affermato che i raid compiuti in Siria dagli aerei israeliani sono una risposta allo sconfinamento di un drone iraniano - partito da una base siriana nei dintorni di Homs - intercettato e abbattuto da un elicottero nello spazio aereo di Israele. La violazione dei cieli libanesi da parte dei jet dello Stato 'ebraico' è stata condannata dal ministero degli Esteri del Paese dei Cedri, che ha ricordato come il Paese abbia diritto a "difendersi dalle aggressioni israeliane".
Ministero che ha poi annunciato di aver chiesto alla missione Unifil nel sud del Libano di denunciare al Consiglio di Sicurezza Onu la violazione israeliana. "Le azioni israeliane minacciano la stabilità regionale", si legge nella nota del ministero. L'argomento "difensivo" è stato usato da tutte le parti in causa: il Libano rispetto all'ingresso di jet israeliani nello spazio aereo libanese; Israele rispetto all'ingresso di un drone iraniano in territorio israeliano; la Siria rispetto ai raid compiuti da Israele nei dintorni di Damasco e di Homs, che portano a oltre 100 i bombardamenti effettuati da Tel aviv in Siria dal 2011 ad oggi.
Il rischio di una guerra tra Israele e Libano è sempre più concreto
Il rischio di una terza guerra tra Israele e Libano è sempre più concreto, e secondo la gran parte degli analisti - israeliani, in particolare - promette di essere molto più devastante di quella dell'estate del 2006 durata 34 giorni.
Per tre motivi, in particolare: il primo sta nel fatto che gli sciiti di Hezbollah, alleato sia di Assad che degli iraniani che li armano, è nel governo libanese, e lo scorso maggio 2017 le sue milizie sono state dichiarate dal presidente Aoun "complementari all'Esercito libanese e fondamentali per la difesa del Paese". Per questo motivo, i rappresentanti del governo e delle Forze armate israeliane hanno sempre ribadito che nel prossimo conflitto riterranno "l'intero Libano responsabile", e non solo Hezbollah.
Il secondo motivo è l'accresciuta forza militare del Partito di Dio, sia in termini di preparazione (la guerra in Siria in questo senso ha avuto una funzione altamente "allenante" per i miliziani sciiti) che di equipaggiamento. Secondo stime israeliane, Hezbollah è oggi in possesso di circa 150.000 razzi a corto, medio e lungo raggio (tra gli altri: gli M-600 con un raggio di 300km e testate da mezza tonnellata, repliche dei Fateh-110, missili iraniani di terza generazione, e i B032 siriani, con un raggio di 100 km e testate da 175kg), oltre a 50.000 uomini, riservisti compresi. Lo scorso settembre, un comandante di Hezbollah aveva dichiarato che sono circa 10.000 i combattenti sciiti nel sud della Siria, pronti a combattere. Secondo gli analisti israeliani, il Partito di Dio in una eventuale guerra con Israele sarebbe in grado di lanciare 1.500-2.000 missili, molti di più dei 130-180 lanciati durante la guerra del 2006.
Il terzo motivo è la crescente convergenza tra Israele, Arabia Saudita e Stati Uniti, il cui presidente Donald Trump ha ultimamente inasprito la retorica anti-iraniana. Lo scorso agosto, attraverso l'ambasciatrice americana all'Onu, Nikki Haley, Washington aveva "rimproverato" la missione Unifil, definendola "cieca" di fronte alle accresciute attività del Partito di Dio nel sud del Libano.
Secondo l'International Crisis Group, ha preso forma una strategia trilaterale sempre più assertiva nei confronti dell'Iran, che mira a fare pressioni militari, diplomatiche ed economiche. Sin dalla visita di Trump a Riad a maggio 2017, le prospettive di un'alleanza israeliana con l'Arabia saudita, col sostegno americano, sono diventate sempre più realistiche, e da parte sua la Russia sembra aver assunto un atteggiamento perlomeno tiepido, defilato rispetto ad una eventuale escalation: da una parte è alleata dell'Iran in Siria, dall'altra la visita di Netanyahu a Mosca la scorsa settimana dimostra rapporti solidi anche con Tel Aviv.
E d'altro canto, anche nell'ipotesi in cui Mosca fosse esplicitamente più vicina alle posizioni israeliane, potrebbe non avere la capacità di "leverage", il potere d'influenza sulle strategie e sulle priorità geopolitiche iraniane. "Nella prossima guerra, non vedremo più fotografie come quelle durante la guerra del 2006, in cui gli abitanti di Beirut erano in spiaggia. Se gli abitanti di Tel aviv saranno costretti a rifugiarsi nei bunker anti missile, anche gli abitanti di Beirut lo saranno", ha dichiarato ieri al Jerusalem Post il ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman.