To Bibi or not to Bibi': è questa la domanda, che va il verso alla celebre battuta amletica, che agita l'elettorato israeliano, circa 6,3 milioni di persone, che martedì prossimo sarà chiamato alle urne. Seggi aperti dalle 7 di mattina alle 10 di sera: dovranno decidere se concedere il quinto mandato a Benjamin 'Bibi' Netanyahu, lanciandolo nell'empireo dei leader israeliani più longevi, tale da battere anche il padre della patria David Ben Gurion; o segnare il cambio di passo, mandando al governo Benny Gantz, ex capo di Stato maggiore, vera novità di queste elezioni con il suo partito Blu e Bianco (i colori della bandiera israeliana), creato dalla fusione con la formazione centrista Yesh Atid di Yair Lapid.
Giochi di parole, giochi di potere
Più che mai il refrain della campagna elettorale è stato incentrato su una dicotomia, noi contro loro, che sia Gantz a proclamare - 'O noi o Bibi' - o al contrario il Likud che ha capovolto lo slogan facendolo diventare 'O Bibi o Tibi', riferito a uno dei principali leader degli arabo-israeliani, Ahmad Tibi, agitando così lo spauracchio della quinta colonna nemica all'interno dello Stato ebraico.
Lui, il 69enne Netanyahu, si presenta così, il leader del Likud con esperienza da vendere (13 anni al potere tra il primo mandato nel 1996-1999 e i successivi governi, guidati ininterrottamente dal 2009 ad oggi), Mr. Sicurezza dal pugno di ferro contro i nemici, Iran in primis, che non perde occasione di attaccare in pubblico e in qualsiasi consesso internazionale.
Tra i suoi sponsor può vantare i due principali leader mondiali che, ognuno a modo suo, hanno contribuito alla corsa per la sua rielezione con 'regali' ad hoc: due settimane fa il presidente americano, Donald Trump, ha riconosciuto ufficialmente la sovranità d'Israele sulle Alture del Golan e nei mesi scorsi gli aveva tirato la volata spostando la sede dell'ambasciata Usa a Gerusalemme, mentre giovedì scorso il presidente russo, Vladimir Putin, ha confermato il ruolo di Mosca nel ritorno a casa dei resti del sergente Zachary Baumel, disperso dalla prima guerra di Libano nel 1982.
Dipende dal giudice
Sulla testa di Netanyahu pende però la spada di Damocle della giustizia: alla fine di febbraio, il procuratore generale d'Israele, Avichai Mandelblit, ha annunciato l'intenzione di incriminarlo per corruzione, abuso di fiducia e frode riguardo a tre casi.
In un'audizione, che avverrà probabilmente entro il 10 luglio, il leader del Likud avrà la possibilità di difendersi prima che le accuse vengano formalizzate.
L'eventualità che sia incriminato, e quindi costretto a lasciare la politica, secondo i nemici è più che probabile e su questa si giocano diverse partite.
È su questo che punta, apertamente, Gantz che in una recente intervista ha ribadito che non intende sedere in un governo con Netanyahu (opzione sulla quale da mesi è in corso un balletto con tanto di rivelazioni, fuga di notizie e smentite: si va da "la porta è chiusa ma non a chiave" al "mai e poi mai") ma ha lasciato aperta la possibilità di una coalizione con il Likud post-Netanyahu, una volta che quest'ultimo sarà costretto a lasciare la politica a causa della "più che probabile" incriminazione per corruzione, di qui a qualche mese.
Alla guida di quello che è stato ribattezzato 'il partito dei generali' per la concentrazione di ex capi di Stato maggiore nelle sue fila (oltre Gantz, anche Gabi Ashkenazi e Moshe Ya'alon), il leader di Blu e Bianco si è buttato in politica puntando il dito contro la politica divisiva del premier ed esortando gli elettori ad andare a votare per spodestarlo. "Noi siamo l'alternativa: un'alternativa di moderazione, di senso dello Stato e di dirittura morale".
Consapevole dei numeri contro, una delle opzioni di Gantz è creare un governo con ultra-ortodossi e partiti minori di destra (lasciando fuori arabi e ultra-nazionalisti), convincendoli che ha più chance di Netanyahu di formare un governo che duri quattro anni. Nonostante i sondaggi diano il suo partito Blu e Bianco in testa rispetto al Likud, i numeri indicano che farebbe fatica ad arrivare alla maggioranza alla Knesset (61 seggi) solo con l'aiuto del centro-sinistra, anche con il tacito sostegno dei partiti arabi.
E mentre il giorno delle elezioni già si intravede, si moltiplicano gli appelli ad andare a votare, l'astensionismo è la bestia nera di tutti.