Erosione e potenti onde dell'Oceano Atlantico stanno inghiottendo giorno dopo giorno l'isola di Kunta Kinte, situata a 30 km dalla foce del fiume Gambia. I cambiamenti climatici stanno ipotecando l'esistenza del piccolo territorio di soli sette ettari - un tempo conteso da portoghesi, inglesi e francesi - e rischiano di cancellare un pezzo di storia che riguarda l'intera umanità. Dal 2003 l'isola è stata iscritta al patrimonio mondiale dell'umanità dell'Unesco.
Nel Seicento su questa isola transitavano gli schiavi in partenza per le Americhe, come nella vicina Gore'e, in Senegal. Fino al 2011 l'isolotto gambiano si chiamava James Island, successivamente ribattezzato Kunta Kinte, dal nome del protagonista del romanzo americano "Roots" ("Radici") (1976) dello scrittore afroamericano Alex Haley. L'opera ripercorre la storia di un ramo della sua famiglia, a partire da Kunta Kinte, un giovane appartenente alla tribù dei Mandinka, del Gambia, che fu deportato in America e fatto schiavo.
Per proteggere l'isola apposite barriere costruite con pietre e picchetti sono state istallate nel 2009. "Finora siamo riusciti a proteggere solo 70 metri di coste. Un intervento globale attorno all'isola costerebbe centinaia di migliaia di euro" ha riferito Baba Ceesay, direttore del Centro nazionale per le arti e la cultura, responsabile del sito. "Qui era il luogo dove venivano rinchiusi gli schiavi più aggressivi. Molti degli edifici sono crollati nel mare. Quando ero giovane erano ancora integri. Dobbiamo preservare l'isola, anche per i nostri figli" ha testimoniato Momodou Manjang, guida che ogni giorno accompagna i visitatori nel sito, parte del patrimonio turistico del Gambia.