Lamya Aji Bashar abbassa lo sguardo quando parla, con un'espressione tra l'impaurito e l'incredulo. In pochi mesi, a soli 18 anni, la sua vita è passata dalla morte (rischiata, sfiorata e in alcuni momenti sperata) ad una nuova rinascita, da schiava del sesso in Iraq dove è stata rapida dai guerriglieri del sedicente Stato Islamico al Parlamento Europeo dove lo scorso dicembre ha ricevuto il premio Sakharov diventando così "ambasciatrice" del popolo yazida e paladina della lotta per i diritti umani. L'abbiamo incontrata a Venezia, alla Venice School Eiuc (Centro Inter-Universitario per i Diritti Umani e la Democratizzazione (EIUC) / Global Campus of Human Rights) dove ha partecipato ad una conferenza dal titolo “La violazione dei diritti umani nella comunità Yazidi da parte dell’ISIS”.
Le persone hanno iniziato a parlare delle persecuzioni subite dalla minoranza yazida, in particolare della violenze e delle torture subite da donne e bambini, da parte del sedicente Stato Islamico, solo in tempi recenti. E forse ancora oggi si fatica a comprendere le dimensioni del fenomeno. Secondo lei perché esiste ancora una percezione così vaga del massacro che sta avvenendo? E cosa potrebbe fare la comunità internazionale a riguardo?
Sfortunatamente la reazione del mondo intero è arrivata troppo tardi e ogni giorno ci sono priorità che mettono i diritti umani in secondo piano. La lotta all'Isis è al momento troppo impegnata a sconfiggere la minaccia terroristica e il mondo occidentale è preoccupato per gli attentati e per quei pochi europei che si sono uniti come foreign fighters. I paesi musulmani sono troppo impegnati a gestire lo scontro tra sunniti e sciiti. E, come se non bastasse, abbiamo il problema siriano e la competizione tra Usa e Russia. Queste sono le vere priorità delle politiche mondiali contro l'Isis, non le questioni relative ad una piccola minoranza come gli yazidi. Gli yazidi sono perseguitati da centinaia di anni e hanno subito 72 massacri durante la loro storia dolorosa. E questo solo perché credono a Dio in un modo differente da quello dei musulmani. è lo stesso Dio, lo stesso che non permetterebbe a nessuno di uccidere altre persone. Penso però che la comunità internazionale abbia la responsabilità di proteggere anche minoranze cosi piccole. Gli yazidi, come i cristiani e tutti i non musulmani in Iraq, necessitano di una speciale "safe zone" dotata di una protezione internazionale e garantita. Dopo questo il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dovrebbe riferire dei crimini commessi contro gli yazidi davanti alla Corte Penale Internazionale per punire queste persecuzioni.
Ora ha iniziato la sua "seconda vita" in Germania. Quanto difficile è stato, materialmente ma anche psicologicamente, fuggire da quella che in ogni caso resta e resterà per sempre la sua terra e reinserirsi in una società cosi differente? Ha trovato degli ostacoli o delle resistenze nell'integrarsi?
Ho perso il mio villaggio, i miei genitori, i miei due fratelli. Ho mia sorella e i suoi quattro figli ancora prigionieri. Ho perso tutto in Iraq. E non c'è modo di riportare indietro la mia vita. L'ong tedesca Luftbrücke Irak mi ha portato in Germania e ho subito notato come la Germania e in genere gli europei ci accolgono e proteggono affettuosamente. Guardo con stupore come i dottori, le autorità, i vicini di casa e anche le normali persone che incontro per strada si comportano con me, senza chiedermi qual è la mia religione, da dove provengo o che stile di vita adotto. è una novità sconvolgente per me. Qui ho iniziato una nuova vita. Ora sono una donna adulta, con terribili incubi dentro di me. Incubi che mi inseguono e perseguitano mentre corro verso un obiettivo certo che è difendere i valori umani ed essere la voce delle donne de di bambini vittime dell'Isis.
E' cambiato qualcosa nella sua vita dopo il conferimento del premio Sakharov? E come pensa eventualmente di riuscire ad impegnarsi in futuro per la causa yazida?
Grazie al Parlamento Europeo che mi ha conferito il premio Sakharov mi si è aperta una nuova porta di un valore immenso: entrare in contatto con i politici del mondo per portare i mio messaggio. E questo aiuterà a tenere il mondo intero consapevole delle sofferenze degli yazidi.
Qual è stato il momento più duro del suo rapimento? Ha mai perso la speranza di riuscire un giorno a tornare libera?
Ogni minuto è stato per me la morte. Nei primi giorni sono stata separata dalla mia famiglia, ero senza speranza ma ho iniziato subito a pianificare una fuga. Ci ho provato quattro volte. Ogni volta venivo catturata, punita e torturata ma non ho mollato. Mi sono augurata di morire molte volte. Mi auguravo che gli attacchi aerei colpissero il magazzino dove costruivano le bombe dei kamikaze in modo da morire assieme a quei criminali. Ma non accadeva mai. Mi sono augurata che bombardassero l'ospedale di Hawija, l'ultimo luogo dove sono stata catturata e dove si trovavano molte ragazze e bambini yazidi violentati come me. Ma questo purtroppo e per fortuna non accadeva mai.
Negli ultimi anni da più parti in dell'Europa si fa una grande confusione quando si parla di migranti e richiedenti asilo. Si confondono spesso i bisogni e i problemi dei migranti provenienti dalla Siria o Africa, di chi scappa da guerre o da situazioni di instabilità politica, da persecuzioni o da regimi e chi invece scappa da uno stato di povertà e cerca un futuro migliore. E non è un mistero che esistano anche gruppi che politicamente sfruttano questa mancata distinzione. Cosa dovrebbe fare in questo senso la comunità internazionale e che ruolo dovrebbero avere i principali gruppi politici europei nell'educare o eventualmente sensibilizzare i cittadini europei?
Penso che ognuno dovrebbe tenere presente i diritti umani ogni volta che ha a che fare con l'altro, con il diverso. Nessuno lascia la sua terra senza una ragione, qualunque sia questa ragione. La terra e le comunità che ospita dovrebbe trattare la questione dei migranti tenendo ben presente i diritti umani per costruire una convivenza proficua per tutti. E i migranti devono impegnarsi per integrarsi nella nuova comunità e a fare accettare i propri valori e la propria cultura.
Lei conosce bene la ferocia e la disumanità insita nelle menti di adepti e simpatizzanti del cosiddetto "Califfato nero". Chi ha avuto la fortuna di non conoscere da vicino quella ideologia di morte si costruisce un'idea fatta delle notizie che si leggono sui giornali e dei video che compaiono in tv o in internet. Lei porta con se sicuramente immagini, scene, forse anche semplici dettagli che possono descrivere meglio di mille parole cos'è l'Isis... se la sente di condividerne qualcuna?
L'Isis usa i più orridi e terribili metodi per spaventare la gente, ma anche come parte integrante della sua ideologia. Trovano in ogni crimine una giustificazione religiosa, usano il lavaggio del cervello per convincere i bambini ad imbottirsi di esplosivo, dicono loro che il profeta Maometto è contro i loro genitori infedeli, praticano torture e punizioni di ogni tipo, tagliano le mani e decapitando, violentano i bambini davanti alle loro madri e violentano le madri obbligando i bambini a guardare. Migliaia, migliaia di atrocità indicibili e indescrivibili che sono devastanti per chi le subisce.
La cosa forse più atroce per tutti i cittadini del mondo è rendersi conto che la politica del terrore dell'Isis valica ogni tipo di confine e dinamica. Come può una società civile proteggersi di fronte ad una minaccia fatta di cani sciolti e attentati improvvisati che ogni giorno si dimostra quindi più liquida, asimmetrica e per definizione quasi impossibile da prevenire? Spesso si chiede alle comunità musulmane di condannare apertamente il loro operato. Potrebbe servire secondo lei?
Penso sia un problema del mondo islamico risolvere la minaccia terroristica poiché questi gruppi usano la religioni come uno strumento per uccidere innocenti. Per questo i vertici dell'Islam sono chiamati a lottare contro questa ideologia delirante.
Lei, seppur come profonde cicatrici nel corpo e nell'anima, è riuscita a raggiungere un paese migliore, una società migliore che, e ce lo auguriamo con tutto il nostro cuore, sarà in grado di garantirle un futuro felice e tutelato. Se potesse raggiungere con un messaggio tutte quelle ragazze yazide che stano vivendo o hanno vissuto quello che ha vissuto lei, cosa le direbbe?
Se potessi parlare alle vittime yazide direi loro di non mollare. A chi è ancora li dico: Daesh sta cercando di eliminare voi e la nostra minoranza ma la comunità yazida è ancora li. E io sono la sua voce. Un giorno anche voi sarete liberi e il mondo dovrà trovare per noi tutti una soluzione per garantirci una nuova vita. Noi lavoreremo giorno e notte per portare i nostri aguzzini davanti alla giustizia. Alle madri che hanno perso i loro figli voglio dire: questa non è la fine del mondo, il vostro incubo prima o poi finirà. Poi potremo ricominciare a vivere e romperemo finalmente il muro del dolore portando la nostra voce in tutto il mondo.