L'uccisione di Qassem Soleimani, il generale iraniano potente capo delle Forze al-Quds, rischia di scatenare un terremoto nella geopolitica mediorientale. Soleimani, figura quasi leggendaria, è stato ucciso in un raid all'aeroporto di Baghdad ordinato dallo stesso presidente Usa, Donald Trump.
Teheran giura vendetta: la Guida Suprema, l'Ayatollah Ali Khamenei, ha promesso "una dura rappresaglia". Inequivocabile la minaccia degli uomini di Solemaini, i temibili Pasdaran: "la gioia diventerà presto lutto". Dal Libano, è sceso in campo il leader delle milizie sciite Hezbollah, Hassan Nasrallah, promettendo la punizione da parte "di tutti i combattenti della resistenza nel mondo".
Considerato uno degli uomini più potenti in Medio Oriente, generale, stratega con ambizioni politiche, Soleimani era spesso apparso al fianco della Guida Suprema, l'ayatollah Ali Khamenei, ma si è sempre mosso nell'ombra, arcinemico di Usa e Israele.
Era considerato l'architetto di gran parte delle attività iraniane in Medio Oriente, compresa la guerra in Siria e gli attacchi su Israele. Sessantadue anni, storico comandante delle Guardie iraniane della Rivoluzione, Soleimani era il capo della squadra d'elite per le operazioni più segrete, e soprattutto uomo chiave del regime degli ayatollah. Negli ultimi vent'anni il generale aveva guadagnato una fama quasi leggendaria.
Con lui è stato ucciso Abu Mehdi al-Mouhandis, figura più defilata ma comunque nodale, l'uomo iraniano e il nemico numero uno in Iraq degli Stati Uniti per decenni: era il vicecomandante delle milizie sostenute dall'Iraq note come Forze di mobilitazione popolare, che martedì avevano assediato l'ambasciata americana a Baghdad.
Il Pentagono ha spiegato che Trump ha dato l'ordine "per proteggere il personae americano all'estero". Ma adesso il timore è di un'escalation fuori controllo che possa portare non solo l'Iraq sull'orlo della guerra civile, ma anche infiammare la regione. Israele, che ha messo in stato di allerta anche ambasciate e consolati, per il timore di rappresaglie dal vicino Libano ha chiuso l'accesso alle piste sciistiche sul Monte Hermon, sulle Alture del Golan.
Il premier Benjamin Netanyahu, che si trovava in Grecia e ha interrotto la visita, ha lodato la rapidità dell'azione statunitense e ha sottolineato che "come Israele, anche gli Usa hanno diritto all'autodifesa". Il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, che ha intrapreso un giro di telefonate con gli alleati europei e ha contattato anche la Cina, ha rassicurato che gli Usa sono impegnati in "una de-escalation".
La Farnesina, molto preoccupata, ha lanciato un forte appello alla "moderazione e responsabilità": "Nuovi focolai di tensione non sono nell'interesse di nessuno e rischiano di essere terreno fertile per il terrorismo e l'estremismo violento".