"Chiedo scusa per tutte le mancanze negli anni in cui sono stato ministro degli Esteri, ringrazio il Paese e i funzionari iraniani (per il loro sostegno) negli ultimi 67 mesi". Con queste poche parole, Mohammad Javad Zarif ha annunciato in un post su Instagram le sue dimissioni da capo della diplomazia della Repubblica islamica. Il 59enne, diplomatico navigato capace di evitare le derive più oltranziste, sia in patria che all'estero, aveva assunto l'incarico nel 2013.
Una carriera diplomatica iniziata dopo gli studi negli Usa, relazioni internazionali in California e Colorado e un dottorato all'Università di Denver; dal 2002 al 2007 è stato rappresentante permanente di Teheran al Palazzo di Vetro, prima sotto il moderato Mohammad Khatami e poi il radicale Mahmoud Ahmadinejad. Quest'ultimo lo voleva sostituire ma venne bloccato dalla Guida Spirituale, Ali Khamenei. Considerato un moderato, alleato del presidente Hassan Rohani, Zarif è stato uno dei protagonisti dell'accordo sul nucleare iraniano così come per anni il volto all'estero della Repubblica islamica.
Un annuncio inaspettato
L'agenzia semi-ufficiale iraniana Tasnim ha citato "alcune fonti che hanno confermato le sue dimissioni" ma non è chiaro se Rohani le accetterà. Motivazioni non sono state fornite: l'annuncio - postato sullo sfondo di un'immagine di Fatima, la figlia del profeta Maometto, di cui oggi ricorrono le celebrazioni - è giunto inaspettato. Tra gli artefici dell'intesa sul nucleare nel 2015, Zarif è stato duramente attaccato in patria dopo che nel maggio scorso il presidente americano, Donald Trump, ha annunciato l'uscita unilaterale degli Usa dall'accordo e la conseguente ripresa delle sanzioni economiche.
Nel mirino del clero sciita, dei 'falchi' del regime iraniano nonché di una parte dell'opinione pubblica, sempre più in difficoltà a causa della crisi economica, il capo della diplomazia era apparso frustrato alla conferenza sulla sicurezza di Monaco la settimana scorsa, dove era stato protagonista di un botta e risposta con gli acerrimi nemici, Usa e Israele. Ieri poi, in un intervento, aveva attaccato i 'falchi' iraniani: "Non possiamo nasconderci dietro il complotto imperialista e biasimarli per la nostra stessa incapacità. Indipendenza non significa isolamento dal mondo", aveva denunciato.
Senza contare che, in occasione della visita odierna del presidente siriano, Bashar al-Assad, a Teheran, non era presente all'incontro del leader di Damasco con Khamenei e con il capo dei Guardiani della Rivoluzione, Qassem Suleimani, né tantomeno al faccia a faccia con Rohani. Una visita, quella di Assad, che non era stata annunciata e che è stata la prima in Iran da quando, nel 2011, scoppiò la rivolta in Siria, sfociata poi nella guerra civile.