Non si placano le proteste contro il regime degli Ayatollah in Iran. Dopo tre giorni di manifestazioni in diverse città del Paese, compresa la capitale Teheran, ci sono stati almeno due morti per ferite da arma da fuoco nella città di Dorud, nell'ovest del Paese.
Le autorità iraniane hanno confermato i decessi ma hanno escluso che le vittime siano cadute sotto colpi sparati dalle forze dell'ordine e parlano di infiltrati nelle proteste "con armi da caccia e da guerra", puntando il dito contro estremisti sunniti e potenze straniere. In varie occasioni, comunque, la polizia e i Guardiani della rivoluzione hanno sciolto le manifestazioni con le maniere forti e si registrano numerosi arresti. Secondo notizie non confermate, i morti potrebbero essere sei.
In alcune occasioni i manifestanti hanno dato l'assalto a edifici governativi. Sia a Teheran sia in altre città, si sono svolte contromanifestazioni di sostenitori del regime.
Stretta sui social network
Il giro di vite ha messo nel mirino anche i social media Instagram e Telegram, accusati di fomentare la rivolta, il cui accesso dai telefono cellulari è stato bloccato "per mantenere la pace". Questa sera terrà un discorso alla nazione il presidente Hassan Rohani, alla guida del Paese dal 2013 e rieletto quest'anno. Donald Trump ha attaccato il regime di Teheran twittando che "gli iraniani hanno finalmente capito che il loro denaro e il loro benessere vengono sperperati per il terrorismo". "Sembra che gli iraniani non ne possano più, gli Usa vigilano su eventuali violazioni dei diritti umani", ha aggiunto il presidente americano.
Big protests in Iran. The people are finally getting wise as to how their money and wealth is being stolen and squandered on terrorism. Looks like they will not take it any longer. The USA is watching very closely for human rights violations!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 31 dicembre 2017
Come sono nate le proteste
La protesta è partita giovedì dalla città nord-orientale di Mashaad e l'indomani si è estesa in diverse città, compresa la capitale Teheran, dove sabato sono scese in piazza migliaia di persone e ci sono stati scontri con la polizia. Secondo la premio Nobel per la pace, l'avvocatessa iraniana Shirin Ebadi, la protesta iniziata per il malcontento rispetto al carovita e all'impegno militare all'estero dalla Siria al Libano fino allo Yemen, potrebbe presto assumere connotati analoghi all'"onda verde" del 2009, quando si diffuse la contestazione popolare contro la rielezione del presidente ultraconservatore Mahmoud Ahmadinejad. Anche allora la repressione fu particolarmente dura.
La fine delle sanzioni, dopo l'accordo sul nucleare del 2015, nonostante la recente marcia indietro di Trump, non sembra aver determinato una ripresa nel tenore di vita della popolazione, anche in ragione dell'aumento delle spese militari. Il malcontento per il ferreo controllo del regime su tutti gli aspetti della vita sociale è particolarmente diffuso tra i giovani. Al momento né il numero uno della Repubblica islamica, la Guida suprema Ali Khamenei, né il presidente, Hassan Rohani, hanno preso posizione ufficialmente sulle proteste, ma il ministro dell'Interno, Abdolrahman Rahmani Fazli, ha avvertito che gli autori delle violenze e i responsabili dell'ondata di disordini "pagheranno il prezzo" delle loro azioni. "Quanti danneggiano beni pubblici, creano disordine e infrangono la legge devono rispondere delle loro azioni e pagarne il prezzo", ha avvertito, "agiremo contro le violenze e contro quanti stanno seminando paura e terrore".
Rohani: "Lasciare spazio al dissenso"
Nel pomeriggio è intervenuto per la prima volta dall'inizio degli scontri il presidente Hassan Rohani che ha cercato, come un equilibrista, di condannare la repressione dei manifestanti e di condannare il tentativo del presidente Usa di cavalcare la protesta. Il presidente ha quindi ordinato alle diverse branche del governo, a partire dalle forze dell'ordine (inclusi i paramilitari Basiji ai Pasdaran) di lasciare "spazio al dissenso": "Le critiche sono diverse dalla violenza e alla distruzione delle proprietà pubbliche. Gli uffici governative dovrebbero fornire spazio per l'espressione legale del dissenso e le proteste", ha sostenuto Rohani che però ha replicato a Trump accusandolo di non aver interesse nel destino del popolo iraniano ma di puntare solo a sfruttare i problemi di Teheran. Trump "non ha alcun diritto" di simpatizzare con quegli iraniani che prima ha chiamato "terroristi", ha tuonato Rohani, "quest'uomo oggi vuole simpatizzare con la nostra gente dimenticando che pochi mesi fa ha chiamato l'Iran nazione di terroristi. Questa persona che è totalmente contro l'Iran come nazione non ha alcun diritto di sentirsi di provare compassione per il popolo iraniano".