Ieri i comizi finali a Istanbul, dove il presidente uscente, Recep Tayyip Erdogan, e il suo principale sfidante, il repubblicano Muharrem Ince, hanno chiuso la campagna elettorale in vista del cruciale voto di oggi. Erdogan e Ince si contendono la poltrona della presidenza della Repubblica, che con l'imminente passaggio al sistema presidenziale diverrà titolare di un pacchetto di poteri molto più vasto di quello attuale.
La sfida del professore
La sfida di Ince consiste nel trascinare Erdogan al secondo turno. È una eventualità, quest'ultima, in cui il presidente uscente si ritroverebbe contro i voti di sei diversi candidati, di estrazione diversissima (e con in dote percentuali diversissime), ma uniti nell'opporsi all'uomo che da 16 anni incarna il potere in Turchia. "Con il permesso di Dio questo nuovo sistema (il presidenzialismo, ndr) permetterà alla Turchia di volare e raggiungere obiettivi inimmaginabili", ha detto Erdogan nel comizio finale di Istanbul, secondo cui il presidenzialismo permetterebbe ad Ankara di frenare l'inflazione e la caduta libera della lira turca, che in un anno ha perso il 20% del proprio valore rispetto al dollaro. Altri mantra della campagna elettorale del presidente sono stati la lotta al terrorismo, con i successi ottenuti nel nord della Siria contro i curdi del Pyd-Ypg, e la realizzazione di grandi opere come il terzo aeroporto di Istanbul, il terzo ponte sul Bosforo e i "20 mila chilometri di strade realizzati in 15 anni".
Un oratore instancabile
Durissime le accuse che, però, gli ha rivolto Muharrem Ince. L'ex professore di fisica, ora candidato del repubblicano Chp (il partito ispirato all'eredità laica del padre della patria Ataturk), ha tenuto un comizio dinanzi a una folla sterminata, 1 milione secondo la prefettura, 5 secondo lo stesso Ince, in una diversa zona di Istanbul. "È un fascista, ha ordinato alla Trt (la tv nazionale ndr) di non dare la diretta se ci fosse stata tanta gente a questo comizio", ha urlato, rispolverando la polemica sulla copertura mediatica garantita al presidente uscente a discapito dei contendenti. Lo sfidante di Erdogan ha ribadito che "nessuno sconto" verrà fatto a terroristi e golpisti, promettendo una nuova legge sulla privacy e borse di studio universitarie per gli studenti meno abbienti. "Facciamo in modo che la sconfitta dell'immoralità di quest'uomo diventi un esempio per tutto il mondo", ha tuonato nel suo centosettesimo comizio tenuto in appena 51 giorni. È un dato, questo, a cui ci aveva in passato abituato Erdogan, apparso instancabile appena un anno fa, in occasione della campagna per il referendum che ha sancito il passaggio al presidenzialismo, e, al contrario, affaticato e poco brillante quest'anno.
Il ruolo dei curdi
Al di là di quello che sarà il risultato, Ince ha dimostrato che Erdogan si può sfidare, mettere in difficoltà e, forse, battere. Un risultato impensabile, per ottenere il quale però Ince si è spesso affidato all'arma preferita di Erdogan, il populismo. Se infatti è difficile che Erdogan non venga riconfermato, sarà altrettanto complicato per il suo partito ottenere la maggioranza assoluta in parlamento, dove il superamento della soglia del 10% da parte di un partito può mutare gli scenari. Il fatto, poi, che il partito in questione sia il filo curdo Hdp rende, ancora una volta, decisivo il voto dei curdi. Finita in secondo piano la leader di destra Meral Aksener, in passato ministro degli Interni e fondatrice del partitio Iyi ("Il buon partito"), l'ago della bilancia saranno ancora gli acerrimi nemici del presidente.
Saranno i curdi a decidere da che parte penderà l'ago della bilancia, anche se Hdp con la candidatura del loro capo Selattin Demirtas - in carcere dal 4 novembre 2016 per accuse di terrorismo che però non hanno ancora partorito alcun rinvio a giudizio - ha già vinto, riportando il focus sulla negazione dei diritti civili e sulla persecuzione giudiziaria dei propri esponenti e attivisti. Non è un caso che le polemiche riguardanti le operazioni di voto riguardino soprattutto il sud est a maggioranza curda, dove, per non meglio specificate ragioni di sicurezza, 150 mila persone saranno costrette a spostarsi per votare. E con le polemiche si affaccia anche il rischio brogli. È un'ipotesi che Erdogan ha respinto con forza, ma contro cui opposizioni e osservatori internazionali sono già schierati. Tra rappresentanti di seggio, volontari e osservatori saranno più di 400 mila ai seggi, a garantire la regolarità di un voto che, comunque vada, segnerà la storia della Turchia.