Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan non fa alcun passo indietro, né in Siria né in Libia. Lo ha ribadito oggi serrando i ranghi dei propri parlamentari. In Nord Africa continua ad appoggiare il premier di Tripoli, Fayez al Serraj, sostenuto contro l'avanzata del generale, Khalifa Haftar, con armi, mezzi da guerra e personale militare, e invoca un accordo "giusto" che coinvolga "la comunità internazionale".
Ancora più tesa la situazione nella provincia di Idlib, nella Siria nord occidentale, dove un'offensiva del regime di Damasco, sostenuto da Mosca, ha causato la morte di 14 militari turchi e una tragedia umanitaria da più di 800 mila profughi che Ankara non può e non vuole accogliere nel proprio territorio.
Di seguito un'analisi dei due singoli dossier:
Libia: armi, appelli e trivellazioni
Ankara continua ad ignorare le dichiarazioni di Haftar, che ieri ha rivendicato di aver colpito una nave carica di armi turche diretta a Tripoli, e continua a sostenere il premier Serraj anche militarmente. Considerati i circa 2.000 km di distanza e l'ingente sforzo richiesto al suo esercito in Siria, Erdogan sa di non potersi permettere un intervento militare diretto.
Allo stesso tempo non può lasciare che Serraj cada e per questo il sostegno militare si traduce nell'invio di mezzi e armi e di personale militare con compiti di coordinamento logistico, intelligence e addestramento. Erdogan continua a denunciare violazioni del cessate-il-fuoco da parte di Haftar e ha ragione, ma non può permettersi di perdere Serraj e, con lui, la giurisdizione sul Mediterraneo orientale riconosciuta alla Turchia da un accordo con lo stesso premier libico siglato lo scorso novembre.
Il presidente turco ha chiesto oggi l'intervento della comunità internazionale, chiamata a benedire un accordo che "sia giusto e riconosca la legittimità" del governo di Tripoli. Accordo che, se non sarà raggiunto, "costringerà Serraj a ritirarsi dalle trattative", eventualità che non sposterebbe di un centimetro la posizione di Erdogan, come ribadito oggi. Sempre oggi il presidente turco ha annunciato che una nave per la ricerca di idrocarburi, recentemente acquistata dalla Turchia, entro la fine dell'anno inizierà nuove trivellazioni unendosi alle altre due già attive al largo di Cipro.
La strategia di Erdogan gioca su tre diversi fronti. Il primo concerne il consolidamento della centralità della Turchia come interlocutore nella risoluzione della crisi e il coinvolgimento della comunità internazionale. Il secondo riguarda il sostegno militare, necessario a garantire la sopravvivenza del premier Serraj contro l'avanzata di Haftar che, sostenuto da Russia, Egitto, Emirati e Francia), è più forte militarmente, in attesa di un accordo per un cessate il fuoco.
Il terzo prevede invece la continuazione delle attività di ricerca e sondaggio nel Mediterraneo orientale, ed e' mirata a mettere i diversi attori della contesa - Grecia in primis, ma anche Egitto ed Israele- dinanzi a un dato di fatto: lo sfruttamento delle risorse dell'area e un eventuale gasdotto che le porti in Europa non si può fare senza la Turchia.
Siria: Ankara e Damasco si fronteggiano, in mezzo Mosca
Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha definito "imminente" una operazione militare turca a Idlib, dove dall'inizio di febbraio, vale a dire da quando il regime di Damasco ha ucciso 14 militari turchi, sono confluiti circa 2.000 mezzi blindati e 6.500 uomini dell'esercito di Ankara. Una presenza indicativa del rischio di una escalation che è già in atto e che solo un'intesa con la
Russia, sponsor del presidente siriano Bashar el Assad, può evitare. Ma l'intesa continua a mancare: è infatti naufragata una trattativa andata avanti fino a ieri sera a Mosca, con la Russia che ha proposto un accordo che Ankara ha definito "inaccettabile".
La minaccia di Erdogan di un intervento militare, all'indomani della mancata intesa con la Russia, va letta insieme alla dichiarazione del ministro della Difesa, Hulusi Akar, che pochi giorni fa ha annunciato che la Turchia avrebbe preso il controllo dell'area e ha intimato il cessate il fuoco a tutti i gruppi radicali presenti nell'area, senza citare Assad, che contro quei gruppi sta combattendo senza risparmiare i civili.
Le dichiarazioni di Akar possono far pensare a un intervento che punti al controllo di aree strategiche colpendo pero' gli stessi gruppi islamisti che Assad vuole soffocare: un obiettivo per raggiungere il quale Ankara potrebbe tornare a puntare sull'Esercito Libero Siriano, oltreché sui propri soldati. Se Ankara consolidasse il proprio controllo su Idlib con un'operazione diretta a colpire gli islamisti e limitare Assad, porrebbe le basi per una nuova trattativa con Mosca, al cui tavolo si siederebbe con una mano più forte.
Il rischio di un'operazione militare mirata contro il solo Assad sarebbe infatti troppo pesante da sostenere nell'ottica dell'alleanza con Mosca e porrebbe la Turchia dallo stesso lato dei gruppi terroristici di matrice islamica che Damasco sta invece bombardando. Nel recente passato, soprattutto per quanto accaduto in Siria, Erdogan ha dimostrato di mantenere la parola e di saper realizzare quanto dichiarato, a prescindere dal fatto che la comunità internazionale ascolti o meno i suoi appelli.
Il totale disinteresse di Europa e Occidente nei confronti della tragedia che si consuma a Idlib per quasi un milione di profughi, rende l'operazione della Turchia una questione solo di 'quando', non di 'se', e che solamente un intervento diretto del presidente russo Vladimir Putin ormai potrebbe evitare.
Erdogan ha intimato ad Assad di far rientrare i suoi entro i confini stabiliti a Sochi nel 2018 entro fine febbraio, ma la Turchia ha 12 check point nell'area dove negli ultimi giorni sono giunti ingenti rinforzi. Con 10 di questi circondati dagli uomini di Damasco una spirale di violenza può esplodere in ogni momento. Un'eventualità che Erdogan è sicuro che la Turchia è pronta ad affrontare.