Il gigante delle telecomunicazioni cinese Huawei passa al contrattacco e cita in giudizio gli Stati Uniti per il bando sull'utilizzo dei propri prodotti e servizi da parte delle agenzie federali. L'annuncio è arrivato dal presidente di turno del gruppo, Guo Ping, dalla sede centrale del colosso cinese, a Shenzhen, che ha accusato gli Usa anche di aver hackerato i server della società e rubato email.
Per Huawei, una parte della legge voluta dal presidente Donald Trump per bandire la tecnologia della società cinese è "incostituzionale" e "il Congresso degli Stati Uniti ha ripetutamente fallito nel produrre qualsiasi prova a supporto delle restrizioni sui prodotti Huawei", secondo le parole del dirigente. "Questo divieto non è solo contrario alla legge, ma impedisce a Huawei di operare in una competizione equa, danneggiando, in ultima analisi, i consumatori statunitensi", ha proseguito Guo. "Siamo impazienti di sentire il verdetto, che riteniamo sarà di beneficio sia di Huawei che del popolo americano".
Negli Usa, il gruppo deve rispondere di 23 capi di imputazione formalizzati alla fine di gennaio scorso, che vanno dal furto di tecnologia alla violazione delle sanzioni all'Iran. Quest'ultimo è il principale capo d'accusa di cui deve rispondere la direttrice finanziaria del gruppo, Meng Wanzhou, arrestata a Vancouver il 1 dicembre scorso, su richiesta degli Stati Uniti, che ne chiedono l'estradizione.
Fino ad oggi, il gruppo di Shenzhen aveva dichiarato di avere fiducia nell'operato dei giudici e aveva negato che Meng potesse avere commesso illeciti. Huawei ha sempre smentito le accuse di spionaggio provenienti da Washington, negando di avere mai passato informazioni sensibili al governo cinese o di avere ricevuto richieste di agire in tal senso.
Il governo di Pechino ha accusato gli Usa di volere bloccare Huawei e di avere "forti motivazioni politiche" per agire contro il gruppo. A difesa della società è sceso in campo anche il fondatore di Huawei, Ren Zhengfei, padre di Meng, che in più interviste ha dichiarato di non avere mai ceduto informazioni sensibili al governo cinese.
L'annuncio pronunciato a Shenzhen segue di poche ore l'apparizione in tribunale in Canada della direttrice finanziaria di Huawei. In aula l'avvocato di Meng, Richard Peck, ha espresso preoccupazioni di "motivazioni politiche" dietro la richiesta di estradizione della loro cliente, citando le dichiarazioni di dicembre scorso sul caso del presidente Usa, Donald Trump. L'udienza è stata aggiornata all'8 maggio prossimo: la decisione finale sull'estradizione negli Stati Uniti della dirigente di Huawei, spetterà al ministro della Giustizia canadese.
Il caso Meng ha contribuito a un deterioramento dei rapporti tra Ottawa e Pechino: nei giorni scorsi, la Cina ha formulato nel dettaglio le accuse di spionaggio nei confronti di due cittadini canadesi arrestati pochi giorni dopo l'arresto di Meng in Canada, l'ex diplomatico Michael Kovrig e l'uomo d'affari Michael Spavor, anche se il governo cinese ha sempre smentito un collegamento diretto tra questi due casi e la vicenda della numero due di Huawei.