Telefoni, computer e fibra ottica: gli Stati Uniti si sentono osservati da Pechino, e per questo limiteranno la diffusione delle tecnologie per le telecomunicazioni cinesi nel Paese.
Il 13 febbraio, durante una seduta della Commissione del Senato sull’intelligence, i direttori delle sei principali sigle dei servizi segreti americane hanno espresso la loro preoccupazione per il successo di aziende provenienti dalla Repubblica Popolare.
Nel mirino soprattutto i prodotti dei colossi Huawei e Zte, considerati potenziali attori di cyberintelligence contro gli interessi nazionali americani.
"Siamo profondamente preoccupati dalla possibilità che compagnie o entità che hanno degli obblighi verso un governo straniero, e che non condividono i nostri valori, possano acquisire una posizione di potere nella nostra rete di telecomunicazioni”.
Per il direttore dell’Fbi, Chris Wray, che ha parlato martedì scorso di fronte al Comitato americano per l’intelligence, le società tecnologiche cinesi non sono trasparenti, e approfitterebbero della loro diffusione per “esercitare pressioni” o prendere il controllo delle comunicazioni del Paese, come riportato dalla Cnbc.
Dello stesso avviso sono anche i vertici della Cia, dell’Nsa e della National Intelligence, che scoraggiano i cittadini americani dall’utilizzare prodotti o servizi marchiati Huawei.
"Huawei è a conoscenza di una serie di attività governative statunitensi apparentemente finalizzate a inibire le nostre attività nel mercato statunitense - commenta l’azienda contattata da Agi - Ma godiamo della fiducia di governi e clienti in 170 Paesi in tutto il mondo e non poniamo rischi di cybersecurity più elevati di qualsiasi altro fornitore di tecnologie di comunicazione".
La società, fondata da un ex ingegnere dell’esercito cinese e descritta come “uno dei bracci del governo”, ha superato lo scorso settembre la Apple nel mercato della telefonia mobile. Nata con la specializzazione di hardware nel settore delle comunicazioni, oggi sta cercando di entrare nel mercato americano, dove il “biglietto d’ingresso” storicamente è sempre stato un accordo con una delle compagnie telefoniche nazionali.
Ma il mese scorso l’operatore AT&T ha dovuto rinunciare a stipulare un accordo con Huawei proprio a causa di pressioni politiche, motivate appunto da questioni di sicurezza nazionale.
The FBI, CIA and NSA say Americans shouldn't use Huawei or ZTE phones because of potential security threats https://t.co/DtiFZEAhlI
— CNN International (@cnni) February 15, 2018
Ma le politiche di contingentamento delle tecnologie cinesi da parte degli Stati Uniti sono una vecchia materia. “Concentrarci solo sulla notizia del giorno rischia di farci perdere il quadro generale - ha spiegato ad Agi l’avvocato Stefano Mele, presidente della commissione Sicurezza cibernetica del comitato Atlantico italiano - Gli Stati Uniti hanno introdotto nel 2013 una legge federale che obbliga diverse agenzie, tra cui Nasa, Dipartimento del Commercio e Dipartimento di Giustizia a richiedere un’autorizzazione preventiva prima dell’acquisto di materiale informatico da aziende direttamente o indirettamente basate in Cina”.
Quindi la politica di mitigazione dell’invadenza tecnologica cinese negli Stati Uniti ha inizio con Obama, che per tre anni “ha lavorato per arginare lo spionaggio informatico che, secondo quanto sostenuto dalle agenzie di intelligence, avveniva a scapito degli interessi economici e militari americani”.
Già nel 2013, in un documento pubblicato dalla Casa Bianca, erano state anche delineate le linee guida per limitare la sottrazione di documenti. “Oggi Trump sta replicando contro la Cina - ma anche contro la Russia nel caso di Kaspersky - la strategia di Obama, perché le attività di cyberintelligence sono tornate a crescere in modo importante”.
A evidenziare queste preoccupazioni anche il documento sulla Valutazione delle minacce mondiali pubblicato due giorni fa dal direttore della National Intelligence, Daniel R. Coats, che scrive: “La Cina continuerà a utilizzare lo spionaggio informatico e rafforzerà le proprie capacità di cyberintelligence a sostegno delle proprie priorità nazionali”.
Gli esperti di sicurezza, riferisce Coats, hanno rilevato costanti attività di spionaggio ai danni di società private americane o contractor del settore pubblico, “mitigate comunque significativamente dopo l’accordo bilaterale sulla cybersicurezza del 2015”.
Questa attività riuscì a ridurre sensibilmente le attività di cyberintelligence soprattutto tecnologico e militare. “Ma tutti gli Stati hanno spiato, spiano e vogliono continuare a spiare. Questo spiega i miliardi di dollari di finanziamenti che gli Stati Uniti danno ogni anno all’Nsa, ma anche le centinaia di migliaia di euro che i Paesi europei investono in strumenti sia di difesa che di attacco nell’ambito della sicurezza informatica. Nessuno Stato ha interesse a sospendere le proprie attività di spionaggio, che sono il principale strumento per guidare le scelte economiche e politiche fin dal tempo dei sumeri”.