A che punto è il bando di Huawei in Italia e in Europa
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No, Huawei non è stata bandita dall'Italia. Il Ministero dello Sviluppo Economico ha smentito con una nota le indiscrezioni pubblicate da La Stampa. “Con riferimento agli articoli su una presunta messa al bando delle aziende Huawei e Zte dall’Italia in vista dell’adozione della tecnologia 5G, il Mise smentisce l’intenzione di adottare qualsiasi iniziativa in tal senso”. Il quotidiano aveva citato “fonti qualificate della Difesa e della Farnesina”, ipotizzando l'uso, da parte di Palazzo Chigi, del “golden power”, lo strumento che permette di stracciare un contratto senza incappare in penali se la motivazione è legata ad ambiti strategici per il Paese, come la cybersecurity.
Il Mise non esclude ancora la possibilità di bandire Huawei e Zte e afferma che “valuterà l’opportunità di adottare le iniziative di competenza nel caso in cui si dovessero riscontrare criticità”. Spiega però che “al momento non sono emerse”. La questione (e non potrebbe essere altrimenti) è al vaglio, ma non ci sono prove che Huawei e Zte rappresentino un pericolo per la sicurezza del Paese. Se si dovessero intercettare dei rischi, il bando avrebbe la priorità su tutto, compresi impatto economico e sviluppo del 5G. Le due società cinesi, infatti, sono legate a doppio nodo con i progetti italiani. Sono presenti, anche se con ruolo diversi, in tre i progetti scelti dal Mise nell'agosto 2017 per sperimentare le nuove reti.
Il progetto BariMatera5G è targato Tim, Fastweb e Huawei. Prevede un investimento di oltre 60 milioni di euro in 4 anni e il coinvolgimento di 52 partner. Il piano punta a a coprire con il 5G il 75% delle due città entro la fine del 2018, per arrivare a una copertura completa nel 2019. Il progetto 5GMilano porterà investimenti di 90 milioni in quattro anni. È firmato da Vodafone, ma Huawei è uno dei fornitori. La sperimentazione a Prato e L’Aquila è condotta da Wind Tre e Open Fiber, ma è supportata da Zte.
In questo scenario, l'Italia e gli altri Paesi europei sono al centro di pressioni contrapposte. Da una parte arrivano quelle degli Stati Uniti. Washington, come ammesso dal Dipartimento di Stato, sta spingendo perché gli alleati dell'Ue creino un fronte occidentale, invitandoli a essere “cauti” e a non firmare nuovi contratti. Pechino si è fatta sentire a più riprese. L'ultima per bocca di Zhang Ming, rappresentante cinese all'Unione Europea, in un'intervista al Financial Times. Zhang ha parlato di “calunnie” e sottolineato che rompere i rapporti con Shenzhen comporterebbe “gravi conseguenze” per la crescita economica e tecnologica.
Per l'Unione europea, prendere una decisione è più complicato, non solo perché le società cinesi sono già ben presenti, ma anche perché serve un accordo tra gli Stati membri per fare fronte comune. Secondo quanto riportato da Reuters, sarebbero però iniziati i movimenti per studiare ipotesi di bando. Sul tavolo ci sarebbero due opzioni: una revisione della norme sulla cybersicurezza, per renderle più stringenti ed escludere società anche solo sospettate di spionaggio; modificare le regole sugli appalti, in modo da impedire alle società cinesi di partecipare a progetti per lo sviluppo del 5G.
In assenza di un fronte comune, gli Stati europei procedono in ordine sparso.